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“Bocca di strega” di Sacha Naspini

Immagine di copertina

Sinossi

Un romanzo che racconta l’incredibile storia della guerra tra bande di tombaroli, dalla Maremma alla California.

Un’epopea tutta italiana. Tradimenti, vendette, doppi giochi, la brama di soldi facili… E l’amore, quello vero, che come spesso accade, dirige gli eventi verso rotte inaspettate. Molti dei reperti etruschi che oggi sono esposti nelle sale più prestigiose del globo hanno una storia. Per esempio questa.

1972, Val di Cornia. Bardo è il miglior tombarolo in circolazione. Negli anni è riuscito a costruire un traffico di reperti etruschi che da Populonia viaggiano verso la Capitale, arrivando a stabilire un mercato multimiliardario con l’America.

La morte improvvisa della moglie è un duro colpo – Bardo non regge al dolore, sparisce in mare. Ma prima lascia i segreti della ricettazione a Giovanni, il figlio. Che però non ha la stoffa di suo padre. Come se non bastasse, le bande di Tuscia e i trafficanti di Roma vedono in questo momento di debolezza una buona occasione per impossessarsi della piazza…

Bocca di strega apre uno squarcio su un universo che ha fatto la storia di tanti musei, partendo dal basso: la febbre dello scavo, la rivalità tra bande per garantirsi il territorio più fruttuoso, fino alle alte sfere della compravendita mondiale. E poi la provincia d’Italia, abitata da romantici pirati di terra dalla doppia vita: padri di famiglia, operai, artigiani, contadini, che in pochi anni sono entrati nel traffico d’arte internazionale. Non senza pagarne le conseguenze.

Recensione

Bocca di strega è un romanzo di Sacha Naspini pubblicato da Edizioni e/o nell’agosto 2024.

È ambientato negli anni Settanta, prevalentemente nei dintorni del golfo di Baratti. Per intenderci: Val di Cornia, il lembo meridionale della Maremma Livornese.

Guido Sacchetti, detto il Bardo, ha creato un ristretto sodalizio di uomini dalla doppia identità: di giorno operai, pescatori, ristoratori, di notte tombaroli. E il Bardo non è uomo da pensare in piccolo: ha progetti ambiziosi. Sa tessere e aspettare. Da quando iniziò nell’immediato dopoguerra, è arrivato a gestire un importante traffico di reperti etruschi. Un solo patto con gli affiliati: i soldi non si toccano. Finché scaveranno, nessuno cambierà tenore di vita per non destare sospetti.

Con Bardo, Sacha Naspini ha partorito un personaggio straordinario, epico. Non solo dal punto di vista letterario: non si esaurisce in un’eccelsa figura narrativa possibile. No, Bardo è vivo. È carne, sangue, vino, sigarette, dolore. È la sua terra. Il suo tempo, con un passo nel passato e lo sguardo dritto nel futuro. Uomo tra gli uomini che si eleva a titano. Una mente geniale capace di sorprendere in ogni mossa: ti dà da pensare una cosa, ne fa un’altra.

Ragazzo, durante la Seconda guerra mondiale, intuisce il valore inestimabile delle anticaglie che affiorano, nei pressi di Populonia, sulla spiaggia dopo una mareggiata o nei boschi da sepolcri scoperchiati dopo un forte temporale. Non sono ninnoli. Li accumula in posti segreti, sapendo che faranno la sua vita. Ma ha bisogno di persone fidate: poche e inscindibilmente legate a lui. Conosce la miseria e sa che il bisogno è potente, se la gioca con l’amore. E, a volte…, ci fa compromessi. Quindi il denaro sarà il lubrificante per conquistarle.

La sua visione non è negletta. Sente che quei tesori appartengono ai figli della Val di Cornia: tutta la comunità può e deve beneficiarne. Nel territorio iniziano ad arrivare bancali di milioni che in un modo o nell’altro ne mitigano gli stenti. Prende le mosse una sorta di Piano Marshall rivisto e implementato dal Bardo che gli crea una rete di protezione.

Un uomo che, come tutti i grandi, è un’equilibrata contaminazione di elementi, spesso contrapposti: i capolavori spesso nascono dal gioco di luce e ombra. Così Bardo non è spinto solo dal miraggio della ricchezza nell’audace traffico di reperti, ma anche da una sincera passione per la ricerca di tesori millenari. Sente la febbre dello scavo. È pervaso da una sorta di spirito romantico che lo fa fremere per l’avventura e la scoperta della bellezza nascosta e misteriosa. Che per di più ha la sensibilità d’interiorizzare.

Intorno a Bardo gravitano personaggi magistralmente caratterizzati da Sacha Naspini. Non paiono sorti da elucubrazioni di progettazione narrativa, ma figli spontanei della storia e del contesto spazio-temporale in cui si dipana. Sono stille di sangue della Val di Cornia, specchio della sua condizione socioculturale. Tutti contraddistinti da un nome di battaglia: spesso un nomignolo legato a caratteristiche fisiche o episodi sopra le righe che li hanno visti protagonisti. Cosa usuale nei paesi.

Così abbiamo Leagro, brutto come la morte, ma chiamato come uno dei guerrieri più belli della Grecia del 500 a.C. È rabdomante: tenendo due stecche di ferro in mano, sente i vuoti e quindi può individuare le tombe. Poi ci sono il Biondo e Alarico. Tutti operai che vivono nei grigi quartieri popolari di Piombino vicino all’acciaieria, impantanati in una vita nauseabonda come i fumi dell’impianto industriale che entrano dalle loro finestre. Un tunnel senza uscita per molti, ma non per loro che ne vedono la luce in fondo: i milioni che un giorno si spartiranno li porteranno via da quell’incubo in cui sono relegati con le famiglie. E come non ricordare Veleno, il figlio di Bardo: l’epiteto gli fu conferito quando da ragazzotto si intossicò nell’entrare in una tomba inviolata senza averla fatta arieggiare.

A un tratto il romanzo, su cui aleggia un amore intenso e forse maledetto, cambia marcia e prende risonanze thriller. Una morte che lascia tutti nello sconforto è il segnale dell’inizio della guerra tra bande per il controllo del contrabbando dei reperti. Famiglie viterbesi sembrano voler imporre l’egemonia nel territorio di Bardo. Non è più il pittoresco gioco delle anticaglie, ma un affare pericoloso. Compaiono i ferri. Si sa, cosa quasi inevitabile quando girano tanti soldi. Contemporaneamente lo scenario di allarga alla capitale fino a raggiungere Los Angeles ed entrano in scena altri inquietanti personaggi in un intreccio carico di colpi di scena che Naspini cavalca sicuro e credibile.

Lo stile di scrittura dell’opera ha quelle peculiari caratteristiche sviluppate dall’autore nel corso degli anni e che critica e lettori apprezzano molto: asciutto, visivo, graffiante.

In particolare, notiamo la ricerca del Naspini di parole appartenenti al contesto socioculturale dei protagonisti, fino a spingersi a usare il dialetto nei dialoghi. Questo ci porta a inquadrare il romanzo in una sorta di “neoverismo”, dove alcuni elementi del verismo vengono contaminati da nuove e moderne tecniche letterarie.

Notevole la competenza semantica che dà modo di potenziare il significato di alcuni termini all’interno delle frasi, qualità che amplifica la capacità dello scrittore di comunicare emozioni. Naspini incastra le parole come in un’equazione con variabili. Sa il risultato che vuole ottenere e a quelle variabili da un termine e una collocazione precisa.

In poche parole, leggendo Bocca di strega siamo catapultati in una realtà letteraria aumentata, che si colloca in una dimensione percettiva tra il sogno e la realtà.

Dettagli del libro

TitoloBocca di strega
AutoreSacha Naspini
EditoreEdizioni e/o
GenereNarrativa
FormatoLibro
Pagine 192
PubblicazioneAgosto 2024
PrezzoEuro 18
Link di acquisto
https://www.amazon.it/Bocca-strega-Sacha-Naspini/dp/8833577910

Estratto

Nelle sere d’estate i tombaroli di Maremma fanno banda nelle cantine e aprono le carte dei giornali svelando reperti meravigliosi. Nel disporre i tesori sui tavolacci bevono vino, intanto raccontano le avventure che hanno affrontato per portare lì vasi e bronzetti, buccheri e monili.

Sono sempre storie incredibili, ma nessuno azzarda una parola chiedendo di stabilire la verità: conta la smania. È quella che va nutrita.

Per esempio, resta famosa la peripezia che portò il cratere di Eufronio a New York. Reliquia ammirata dal mondo, poi rivoluta indietro e finita nel museo di Cerveteri: un falso. Opera di un artista maltrattato prima dai carabinieri e poi dai tribunali, infine costretto all’abbandono del talento. Nome di battaglia: Pavone. È sempre nel cuore di tutti.

Oppure le dicerie sul ritrovamento di Riace: a ogni raduno c’è chi giura di aver visto il terzo bronzo qua o là, venduto e comprato da collezionisti tra la Svizzera, la Francia, la California. Esistono personaggi che messi i figli a letto si ritirano a bere Dalmore al cospetto di una statua gigantesca, custodita nel sotterraneo della tale villa. L’ebbrezza non è nel whisky costosissimo: avere davanti quel guerriero lucente, con tanto di scudo e l’occhio fisso e brutale dei millenni. Possederlo è la più grossa ubriacatura. «Ora è in Giappone!» dice uno. «No, è in Spagna!» fa un altro. «Lo ha preso un capobastone e lo tiene in bagno accanto allo specchio» giura un terzo. Gli sguardi brillano solo all’idea.

I protagonisti di queste storie sono operai, pescatori, direttori di banca… Certe scalette vengono scese tanto da tizzi in tuta da meccanico quanto da quarantenni in giacca firmata e macchinone parcheggiato nello spiazzo del ristorante, accanto al macinino di un contadino con la faccia bruciata dal sole.

Gli incontri alla Conchiglia sono belli. Le ultime famigliole pagano il conto e alla porta viene messo il cartello CHIUSO; dopo un po’ arrivano altri avventori, alla spicciolata. Entrano passando da dietro.

Baratti è già assediata dai turisti. Nel golfo si accendono i falò, i ragazzi fanno scorte di bottiglie. Insomma, è cominciata la bella stagione. Per i tombaroli, il periodo più osceno: il viavai dei villeggianti incrementa le ronde della madama. I perdigiorno della municipale trovano qualcosa da fare pattugliando gli incroci, organizzando posti di blocco sulla strada della Principessa. Impossibile cercare lo scavo con tutto questo movimento. La campagna delle sepolture va da ottobre a maggio, poi arrivano i pidocchi francesi, rovinando tutto.

Senza considerare la guardia venatoria, la forestale. E le leggi, inasprite da far paura; se i giudici si impuntano, arrivano a rinchiudere i malcapitati per davvero. Non ultimi, ecco i bastardi delle Belle Arti, con i loro colletti puliti e l’aria di chi fa il padrone per decreto: delimitano spiagge, alzano reti col filo spinato negli orti. Impiantano musei. Un tempo le donne di Populonia andavano a messa sfoggiando gioielli antichissimi che adesso restano chiusi dietro vetri rinforzati. I curiosi arrivano dall’altra parte del mondo per pagare il biglietto.

A Veleno piace vestirsi bene. Ha preso le redini della Conchiglia nel ’72, facendone il gioiellino che tutt’oggi attira clienti anche da Firenze. La veranda dà sulla strada – più delle portate, nel ristorante si vende quella vista. Passa la giornata al suo tavolo, con il giornale e un pacchetto di MS nel taschino della camicia. Chi è della zona va da lui prima di andare alla cassa. Ai clienti affezionati fa sconti esagerati; se è in vena offre perfino un assaggio fi finocchietto fatto in casa. Ai turisti niente.

Anche il proprietario della Conchiglia è ammantato da un alone mitico: Veleno è il figlio di Bardo, fenomeno che i tombaroli venerano ancora come un santo. È cominciato tutto da lui.

Cenni biografici autore

Lo scrittore Sacha Naspini

Sacha Naspini è nato a Grosseto nel 1976. È autore di numerosi racconti e romanzi, tra i quali ricordiamo:

Sacha Naspini è tradotto o in corso di traduzione in quasi 50 Paesi. Scrive per il cinema.

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