Campiglia Marittima scrigno di bellezza paesaggistica e architettonica.
Nell’estremo lembo meridionale della Maremma Livornese, si trova la Val di Cornia. Qui, su una collina a 231 metri d’altitudine che domina la piana e il mare, è adagiata Campiglia Marittima: nell’elenco de I borghi più belli d’Italia dal 2021.
Lascio la macchina appena fuori dal centro storico. È dicembre, la tramontana pizzica il volto, rende terza l’aria e con lei la mente. Ma non può molto sugli alberi: sono pochi quelli da rendere glabri. Tutt’intorno all’abitato e tra le vie, piante sempreverdi: olivi dai riflessi argentei, pini marittimi e macchia mediterranea.
Mi dirigo verso Porta Ribellino (o a Mare), il principale accesso al paese vecchio. La struttura è imponente e suggestiva: un arco in conci di pietra, originari di una costruzione medievale, crea un passaggio attraverso un palazzo dalla facciata neogotica con merli sommitali. È il risultato di un restauro della prima metà del Novecento in sintonia con lo stile architettonico di tendenza nel periodo.
Il varco si affaccia sul terrapieno di via Vittorio Veneto, da dove si gode di un panorama mozzafiato sul golfo del Sole: una mezzaluna azzurra con alle estremità Puntala e Il promontorio di Piombino dalla quale si elevano l’isola di Montecristo e d’Elba. Mi coglie una vertigine di bellezza e d’infinito.
Oltrepasso l’arco d’ingresso al centro storico. Passi lenti sulle selci di via Roma. Alzo gli occhi a cercare spicchi di cielo tra i tetti e annuso l’aria: sa di antico, di storia e di storie, di vite passate e presenti.
Vicoli si dipanano laterali. Li imbocco. Mi ci perdo per poi tornare sulla strada principale. Stretti si incuneano tra facciate di case di pietra, attraversano edifici in passaggi dai soffitti di travi di legno che sostengono solai imbarcati. E poi loggette, balconcini con fioriere in terracotta, rosso di gerani e verde di piante grasse. Giochi di luci e ombre.
Odore di sapone di Marsiglia mi fa regredire bambino. Cerco con lo sguardo: panni colorati, appesi a fili, fluttuano al vento parlando delle persone che abitano quelle dimore.
Silenzio ed eteree presenze: compaiono e scompaiono di colpo da angoli o scalinate. Sono lontani i giorni della bella stagione quando il borgo si anima di turisti e si diffondono dialetti e lingue straniere. Arrivano in primavera come la colonia di rondoni dai gioiosi garriti e dai voli pindarici. E proprio a questi magnifici volatili sono dedicate ceramiche policrome: affisse ai muri, li raffigurano ad ali spiegate, integrate da pannelli che parlano delle loro abitudini.
Ma l’arte, che diventa estensione e interpretazione della bellezza del luogo, si trova disseminata un po’ ovunque tra le viuzze: dipinti murali incorniciati da piastrelle di cotto si mostrano improvvisi ritraendo suggestivi scorci del borgo. Sono i più meritevoli del concorso Dipingi un angolo di Campiglia che ogni anno si replica tra maggio e giugno.
Torno sulla via Roma, mentre fotogrammi si susseguono nella mente ripercorrendo la storia di Campiglia Marittima…
Il territorio limitrofo, ricco di minerali metalliferi, era già stato colonizzato dagli Etruschi e dai Romani. Nei pressi della Chiesa della Madonna di Fucinaia, ai piedi del paese, sono presenti forni fusori e pozzi minerari utilizzati da queste antiche civiltà. Il primo documento che cita Campiglia risale al 1004. Inizialmente feudo della famiglia della Gherardesca, legata a Pisa, rimase sotto l’influenza della Repubblica Marinara fino al 1406, quando entrò a far parte dei domini di Firenze.
Nel 1737, seguendo le sorti del Granducato di Toscana, passò sotto la dinastia dei Lorena che la governò, esclusa la parentesi delle guerre napoleoniche, fino al plebiscito del 1859 che portò all’annessione al Regno d’Italia.
Una sacra costruzione in conci di pietra cattura l’attenzione. La sobria facciata a capanna richiama lo stile romanico. Sul prospetto: oltre un portale con stipiti e architrave, solo una nicchia con una statua in terracotta della Vergine. È la Propositura di San Lorenzo. Sottoposta a vari interventi di restauro nel corso dei secoli, venne edificata verso la fine del Duecento su un antico edificio del quale sono stati riportati alla luce due ambienti in uno scavo archeologico del 1991: oggi ospitano il Museo D’arte Sacra. Entro nel tempio.
Odore di ceri, incenso e acquasanta mi avvolge. Il silenzio è una presenza densa che amplifica scricchiolii di panche e smaschera malinconie.
L’interno, più raffinato e voluminoso di quanto ci si possa aspettare da fuori, ha pianta a croce latina con un’unica navata e due cappelle laterali. La copertura, arricchita da decorazioni pittoriche, è a volta unghiata suddivisa in quattro campate.
Mirò il fonte battesimale in marmo del 1560 di forma ottagonale, una tela su tavola che ritrae La Madonna col Bambino attribuita al Maestro di San Torpè (pittore pisano di Scuola Senese, attivo nella prima metà del Trecento), il gruppo ligneo dell’Annunciazione (XVII sec.) e altre opere di interessante valore artistico.
Poi mi seggo. Sussurri di rosari che furono. Nell’aria dolori e speranze di cuori sanguinanti alla ricerca di grazie, conforto e pace.
Di nuovo fuori, di nuovo in via Roma. Iniziano i negozi e le enoteche. Ma a incuriosirmi è una targa sulla destra, in alto, al lato di un portone: informa che in quella casa nacque Carlo Guarnieri, pittore e xilografo di fama internazionale. Pochi passi più avanti ed eccone un’altra: lì abitò Isidoro Falchi, medico e archeologo. E per lui non c’è bisogno che faccia una ricerca su Google. So esattamente chi fu: nel 1880 scoprì l’antica Vatl (Vetulonia), la ricca e potente città-Stato etrusca di cui si erano perse le tracce. Fu anche il primo a compiervi degli scavi riportando alla luce importanti sepolcri e parte dell’abitato.
Le elucubrazioni storiche sono interrotte da una panetteria. Ricordo di aver sentito tessere le lodi della schiaccia alla campigliese: un dolce croccante che si consuma con vin santo e nel cui impasto confluiscono farina, uova, strutto, zucchero, pinoli e limone. Ho l’acquolina in bocca. Non resisto, entro. Il profumo del pane mi fa barcollare. Un flash mi riporta bambino attaccato alla gonna di mia madre nel forno del quartiere. Quando mi riprendo, una ragazza dai modi gentili mi chiede cosa desiri. Mentre mi serve, racconta:
«La tradizione vuole che questo dolce sia stato ideato nel 1448, quando le truppe di Alfonso I Re di Napoli misero sotto assedio Campiglia Marittima. In quell’occasione, le donne impastarono le poche uova rimaste con farina e strutto. E da allora…»
Appena l’ho nelle mani, non mi trattengo. Lo addento anche senza vin santo. Una bontà: difficile descriverne il gusto. Va provato.
Nell’uscire, vedo esposte alcune copie di un libro: è una raccolta di racconti dal titolo Raccontare Campiglia 2024, in cui sono confluite tutte le opere pervenute al concorso letterario che ogni anno viene organizzato dall’Ente di Valorizzazione del paese.
Sono arrivato in Piazza della Repubblica, il cuore pulsante del borgo. L’aspetto attuale deriva da un ampliamento del 1839 condotto sotto la guida dell’ingegnere Sanminiatelli ed è caratterizzato da un armonico equilibrio architettonico. Sono presenti bar, ristoranti, pizzerie dove è possibile sedersi a tavolini all’aperto su pedane tendate. Avventori si godono i raggi del timido sole invernale degustando caffè e commentando notizie di quotidiani.
Proseguo in salita su via Cavour. Un breve tratto e si mostra la solenne facciata del Palazzo Pretorio.
In conci di pietra, è caratterizzata al piano terra da due grandi arcate in calcare bianco e grigio. Ma a impreziosire e rendere originale il prospetto sono i 65 stemmi dei Capitani del Popolo che si susseguirono in età medievale. Altro interessante elemento estetico è la torre dell’orologio che svetta sul lato destro dello stabile e sulla cui sommità poggia un campanile a vela. Un’epigrafe data la costruzione dell’edificio al 1246, anche se fu interessato da ampliamenti nel corso dei secoli.
Oggi il Palazzo Pretorio ospita l’archivio storico del Comune di Campiglia, la mostra permanente di Carlo Guarnieri, il Museo del minerale e la Biblioteca dei Ragazzi.
Un’indicazione per la Rocca: la seguo in un ritto vicolo sulla destra. Ancora scorci incantati di un antico borgo divenuto suggestiva bellezza presente. Si manifestano in archi, in stretti passaggi, in terrazzini fioriti. Salita, passo lento e fiato corto fino a quando, sulla sommità del colle, tutto si apre. Da un prato si elevano gli imponenti resti della Rocca.
Il complesso è costituito da più edifici. Queste architetture in pietra sono il risultato di più fasi costruttive comprese tra il XII e il XIV secolo. Il sito è ben valorizzato: passerelle sospese portano a incunearsi tra le strutture medievali permettendo una visione scenografica d’insieme.
Una delle due torri, di cui era dotato il castello, aveva anche funzione di discarica: con i reperti lì rinvenuti durante gli scavi, è stato possibile allestire il museo adiacente. Tra gli oggetti esposti troviamo, in particolare, una corazza quasi integra, un elmo e una piccola collezione di armi.
Meritano essere menzionati i pannelli didattici che permettono un’esaustiva ricostruzione storica. Tuttavia, è il panorama a rendere imprescindibile la visita al sito. Una terrazza librata nell’aria tra terra, cielo e mare che dona una visione che è essenza di bellezza in odore d’eternità.
La mia esplorazione di Campiglia continua. Raggiungo Porta Fiorentina. Ben conservata, è caratterizzata da un arco interno ribassato e un estradosso di forma ogivale. Sopra l’arco, sul prospetto esterno, sono posizionati quattro stemmi: quello di un ramo della famiglia Della Gherardesca e quelli di Pisa (croce), di Firenze (giglio) e di Campiglia (cane rampante). Fonti li vogliono apposti nel 1468.
Termino la visita al centro storico alla Porta Pisana, risalente al XVI secolo. Lì, si trovano anche l’ex-cinematografo e il teatro dei Concordi inaugurato nel 1867.
Ma non posso lasciare Campiglia Marittima senza ammirare La Pieve di San Giovanni. Forse, il monumento più iconico, celebre e misterioso del borgo, posizionato appena fuori dall’abitato.
Il tempio, a croce latina e noto dal 1075, è alquanto maestoso in sobrio stile romanico pisano. La prima cosa che colpisce è il sacrato: la pavimentazione è di lapidi sepolcrali. Vi si elevano bassi cippi litici. Due sono effigi di angeli. Mi avvicino: le epigrafi ricordano neonati ti pochi mesi dell’Ottocento. Il cuore si stringe nell’immagine di umani germogli che non poterono aprirsi alla vita. Sento nel presente, il dolore passato di genitori inermi di fronte a un fato tanto spietato. Ma l’aura che avvolge il luogo non è gotica e inquietante, tutt’atro, intrisa di pace.
Il portale della facciata è sormontato da un architrave con motivi a girali e da una lunetta traforata e chiusa da un archivolto bicromo. Ma l’elemento di maggiore interesse si trova all’ingresso del lato sinistro della pieve. Lì, sull’architrave è raffigurata una scena di caccia al cinghiale: simboleggia la vittoria di Cristo e dei suoi fedeli sul demonio. Sempre su quella parte dell’edificio, murato nella parete sotto il tetto, è presente il palindromo del Sartor. Particolare che lega inscindibilmente la chiesa ai all’ordine dei Templari.
L’interno, a unica navata provvista di abside, ha capriate che sostengono la copertura a capanna. Un luogo arcano e allo stesso tempo puro, dove si respira misticismo.
È giunto il momento di lasciare Campiglia Marittima. Le ombre della sera iniziano ad allungarsi. Lascio questo borgo con il cuore pieno di bellezza e d’armonia. Sicuramente una di quelle gemme, fuori dalle rotte del grande turismo, che merita di essere posta nello scrigno dei tesori d’Italia.
Libro suggerito da mettere in valigia
Sinossi
Raccontare Campiglia VII edizione. Ancora un viaggio per le strade di Campiglia Marittima, tra i suoi giorni passati, quelli presenti e quelli futuri. I racconti dell’antologia si arricchiscono di nuovi autori, di nuovi personaggi, di nuove fantasiose avventure che si snodano tra le vie del paese cuore pulsante di questo lavoro nato dalla comunione di tante emozioni, dall’ecletticità di tante menti e dall’insostenibile passione narrativa.
Dettagli libro
Titolo | Raccontare Campiglia 2024 |
Curatori opera | Umberto Bartoli, Anna Maria Scaramuzzino |
Editore | Il Foglio |
Genere | Raccolta di racconti |
Formato | Libro |
Pagine | 330 |
Pubblicazione | Febbraio 2024 |
Prezzo | 16 euro |