Intervista a Jonathan Rizzo: l’ispirato e irriverente poeta bohémien di origini elbane.
Jonathan, di solito conduco le interviste nel mio salotto letterario, ma quando ho iniziato a raccogliere informazioni su di te, ho ritenuto fosse meglio incontrarci in questo locale virtuale: luci soffuse, alle pareti vecchi manifesti incorniciati di spettacoli teatrali e concerti, tavoli di legno con scomode sedie impagliate, invitanti bottiglie di vino rosso esposte dietro il bancone e quel fantastico trio acustico che ci sta riproponendo pezzi di Guccini, De Andrè e De Gregori. Secondo me, qui si sentono meglio le vibrazioni della vita e il suo odore. Che dici, ho sbagliato?
Se il vino fosse vero nella bottiglia e poi nel bicchiere, sulle labbra appoggiate e dopo nella gola ventre accogliente, saremmo tutti e due nel giusto. Per quanto riguarda la musica, come il vino è nell’anima.
Jonathan, mentre aspettiamo che arrivi la nostra bottiglia di Chianti, ti va di parlarmi un po’ di te? Anche se di origini elbane, sei nato a Fiesole e a Firenze ti sei laureato in Scienze Storiche. Subito dopo ti sei trasferito a Parigi. Perché questa scelta? Cosa ti aspettavi di trovare in quella città? L’esperienza è stata all’altezza delle tue aspettative?
Non ho potuto scegliere io di nascere a Fiesole, è stato un errore di strategia di mia madre. La scelta storica invece è tutta colpa mia. A Parigi ero lì ad attendermi da tutta la vita, dovevo solo raggiungermi. Mi aspettavo di trovare esattamente quello che ho trovato e di cui ho scritto. Parigi è come nei tuoi sogni, se ne hai. Qualcuno ha incubi e sogna in inglese. Leggete quello che ho vissuto, coltivate le vostre aspettative parigine tra le mie righe.
La tua prima pubblicazione è stata “L’illusione parigina”. Quando hai ceduto all’inebriante richiamo della poesia? O forse…, è sempre stata al tuo fianco?
“L’illusione parigina” ,edizioni Porto Seguro di Firenze 2016, è un flusso di coscienza di 600 pagina circa totalmente in poesia, uno zibaldone. La poesia non l’ho inventata certo io, ma lei ha generato me per come sono oggi. Madre matrigna dal seno generoso.
Dai Jonathan, ora le domande di facciata te l’ho fatte. E’ arrivato il vino. Possiamo andare al sodo, immergerci nel tuo sé profondo. Ho letto le tue poesie. Trasudano vita. Trasmettono la fame che hai di lei: l’irrefrenabile bisogno di perdersi nei suoi meandri, di sperimentare le emozioni uniche che può donare. Quelle forti…, che fanno bruciare. Sbaglio?
Sarei in coma non fosse così. L’esperienza parigina del 2015 rappresentò per me una vera rinascita; una luce, dopo un periodo oscuro della mia vita: gli ultimi anni in Italia passati a Firenze. Molte delle mie poesie sono sue figlie. Chi è morto o prigioniero comprende meglio il valore della libertà e il bruciore del vivere.
Quando si esce dall’ologramma del mondo che ci presentano i mass media, dall’illusione dell’asettica società dei bisogni indotti e dell’apparenza, se da una parte ci sentiamo liberati dal senso del dover essere, ci scontriamo con realtà che graffiano. Ci immergiamo nel fango. E per immergervisi dobbiamo sporcarci. Inizialmente ci sentiamo disorientati, precari. Scompaiono le certezze. Il futuro diventa un mostro da cui è meglio fuggire e a cui non pensare. Ma ci riappropriamo del presente; del qui e dell’ora. Scende la consapevolezza di quanto dolore sia intrisa l’esistenza, ma anche di quanta bellezza. Quanto coraggio ci vuole a lasciare tutto per perdersi nei Boulevard di Parigi, per rimanere a parlare con gli artisti di strada quando le luci di Montmartre si spengono, per vagare tra le vie di Pigalle, per farsi degli amici nel quartiere di Aulnay-souls-Bois, per trattenersi a parlare con i clochard del Lungosenna?
Non è certo, o solo, una questione di coraggio, ma anche e soprattutto di affinità con la strada ed i suoi ratti umani, con la spazzatura che arranca o coi boulevard e la loro bellezza che danza immobile nei secoli. Con le puttane è per gusto e per il privilegio della loro sincerità umana.
Andare oltre le barricate, ci porta a contatto con il diverso, con altre prospettive di vita, con diverse ragioni di essere. Un artista ha, normalmente, un grande dono: quello dell’empatia. Quando ci si approccia con questa sensibilità alla sofferenza, un po’ di essa si riversa in noi. Ma sperimentarla ci fa comprendere. La poesia rappresenta per te un potente strumento rigenerante per l’anima, una via per distendere le sue rughe di dolore dopo essersi ripiegata su se stessa? Immortalando emozioni, offrendole all’eternità, non diviene un ponte catartico tra ombra e luce? Tra il nascosto e il manifesto? Tra il discriminato e il prediletto?
“Artista” o “Arte” sono termini che vanno usati con immensa distanza. Di questi tempi sono tutti “artisti” o così si dichiarano, ma all’orizzonte vedo pochi o nessun essere umano. La società di massa permette a chiunque di esprimersi, ma molti scoreggiano. Il livello dei privilegiati si è abbassato, consequenzialmente pure la qualità della così detta “arte”. Io mi limito a scrivere per portarmi a letto le ragazze o rimediare un altro bicchiere di vino. Sono conscio che i più scrivono perché hanno tante e tanto profonde cose da dire. Quando ci riusciranno veramente, ne guadagneremo tutti. Le anime sono un po’ tutte tormentate, sono banalmente la natura umana ed il vivere quotidiano a essere uno strazio. Gli “artisti” ambiscono al sublime, ma non accettano i sacrifici e le rinunce che esso pretende in olocausto. Gli va riconosciuto che sono tutti ben vestiti, molto eleganti.
La tua silloge poetica “Le Scarpe del Flaneur” si apre con una bellissima prefazione di Marco Incardona, nella quale conduce una mirabile analisi sulla tua poetica con parole intense, appassionate e appassionanti. In un passo scrive:
“La città emblema della modernità è per Rizzo l’occasione per un viaggio nostalgico nelle pieghe dell’esistenza umana, nel suo massificarsi in mode create per essere sempre velocemente abbandonate. La modernità è la più grande creatrice di malinconia e depressione, perché con la sua bulimica produzione e distruzione di oggetti ha prefigurato in maniera ben più potente di qualsiasi religione la tragica precarietà della condizione umana, il cui passaggio è solo di poco più lungo di quello di un qualsiasi prodotto sugli scaffali di un centro commerciale. Dietro il luccicare delle vetrine e dello shopping compulsivo si annida, e questo lo si vede a Parigi in modo assolutamente poetico, il baratro di una vita che in fondo svanisce in un batter d’occhio. A forza di consumare oggetti, non ci rendiamo conto di essere divenuti meri oggetti per una società che ci consuma e ci getta nell’oblio senza nessun rimorso”.
La poesia è il tuo scalpello per ridare grazia e unicità a un’umanità che sta rotolando verso un oblio massificante?
No! Non sono all’altezza né capace minimamente di salvare me stesso, figuriamoci qualcun altro o addirittura la società intera che si lascia fottere con grande soddisfazione. Nell’analisi mi limito ad essere e rimanere coerente con me stesso. Nella silloge precedente uscita con l’Ensemble nel 2018, “La Giovinezza e altre rose sfiorite. Ritratto del poeta che fu”, una raccolta di poesie preparigine, c’è una poesia manifesto del mio modo di vivere, pensare ed agire dal titolo “Forte con gli arroganti, umile con i deboli”.
Nelle tue poesie si denota la profonda conoscenza della tecnica poetica, anche se la trascendi. La lasci latente a chi sa. Sei più concentrato sull’accessibilità del messaggio, sulla sua universalità comunicativa e sulla capacità di trasmettere emozioni. Stai svecchiando la poesia, la stai rendendo di nuovo accessibile ai giovani. Forse…, un cammino iniziato con la Beat Generation, passando attraverso la produzione morrisiana. Tuttavia, rimani ancorato in qualche modo a una poesia impegnata, sociale, che nell’introspezione trova la sua ecumenicità; pregna di protesta non fine a se stessa e con tracce psichedeliche non ostentate. C’è qualcosa di giusto nella mia analisi della tua poetica? Quali sono i poeti che ti hanno più influenzato?
Come dicevo prima non invento nulla di nuovo. Cerco solo di copiare bene. Penso che per scrivere bene bisogna leggere bene. Ho un pantheon di amici poeti con cui posso sedermi a bere molto ricco e nobile. Da Poe a Baudelaire, da Whitman a Rostand, da Ungaretti a Lee Masters, da Campana a Ginsberg fino a Charles Bukowski…e poi oggi sono rimasto solo io.
Non credi che alcuni testi di De Andrè, di Bob Dylan, dello stesso Jim Morrison possono essere considerati vere e proprie poesie? Forse quelle più lette dai giovani di alcune generazioni e imparate a memoria. La musica può rappresentare un potente mezzo di sublimazione della poesia e un efficace mezzo per renderla accessibile?
No, sì e sì. Mi spiego meglio. Non ritengo che i sopracitati siano considerabili tecnicamente dei poeti, ma sarei demente a non ammettere e riconoscere la sensibilità poetica che li contraddistingue. La poesia nasce storicamente come canzone e musica, per cui la culla è stata forgiata e la sua nutrice edotta dalla stessa musa. Io stesso tengo particolarmente alla musicalità delle mie parole e nei miei recital offro sempre un accompagnamento musicale dal vivo per favorire il pubblico ascoltatore/lettore alla fruizione del testo poetico. Va detto per onestà intellettuale e completezza d’informazione che i poeti di formazione accademica oggi in Italia aborriscono questa unione, e sono loro ad avere in mano veramente il cadavere moribondo della poesia in questo paese.
Prima di salutarti, concedimi un’ultima domanda. So che da quest’anno dirigi e presenti il programma radiofonico AL BAR DELLA POESIA sulla web radio Garage radio. Mi parli di questa esperienza?
Una splendida scusa per passare il tempo e bere in compagnia parlando di poesia, musica, arte (quella vera) e avere un asso in più in tasca con le belle ragazze. La questione infine è l’unica verità accessibile, la vita è un mandala in attesa di essere cancellata.
Jonathan, ti ringrazio della disponibilità. Chi sa se un giorno ci incontreremo di persona, magari bevendo veramente un buon bicchiere di Chianti. A presto…
Sono io a ringraziare te David. Per quanto riguarda il vino sarà meglio.
Le scarpe del flâneur
Sinossi
Jonathan Rizzo non è poeta che si lascia imbrigliare dalle facili maglie di una critica letteraria, men che meno da quelle di una breve introduzione alla sua raccolta “Le scarpe del flâneur”. La sua è una poesia corporale, della presenza, del suo farsi e del suo dirsi, per poi disfarsi nel vortice degli attimi da vivere fino in fondo. Forse il futuro e il tempo ci restituiranno lo sguardo prospettico in grado di analizzare il poeta unicamente per i suoi scritti. Oggi vale la pena “godersi” appieno tutta la vitalità e la corporalità di un poeta fuori dagli schemi e che sa di esserlo.
Estratto
Gli acrobati della disperazione
Acrobati della disperazione, vite come quadri a olio caldo su tela.
Ogni spettacolo cambiare stile, al mondo d’oggi unico modo per rimanere fedeli alle tenere promesse in bilico sul filo della disgregazione.
Sotto il vuoto e la gente che applaude bramante il rimbalzo del sangue, ubbidiente claque dall’anima che langue a un passo dal crack, di cui potersi scordare sicura tra le quattro mura antistanti il tendone, soddisfatti del boccone da belva sfamata nella laude dell’appassire del loto.
Come rotti giocattoli mal riposti a servizio di immemori amori noi poveri acrobati della disperazione.
Dettagli libro
Titolo | Le scarpe del flâneur |
Autore | Jonathan Rizzo |
Editore | Edizioni Ensemble |
Genere | Silloge poetica |
Formato | Libro |
Pagine | 92 |
Pubblicazione | Ottobre 2020 |
Prezzo | 12 euro |
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Cenni biografici autore e opere
Di origini elbane, Jonathan Rizzo nasce a Fiesole nel 1981. Cresce e studia a Firenze fino alla laurea magistrale in Scienze storiche. Da lì, si trasferisce a Parigi per scrivere il suo primo libro, L’illusione parigina (Edizioni Porto Seguro, 2016). Nello stesso anno entra nell’antologia di Affluenti, nuova poesia fiorentina (Edizioni Ensemble). Nel 2017 pubblica la silloge poetica Eternamente Errando Errando (Edizioni La Signoria) e nel 2018 La giovinezza e altre rose sfiorite. Ritratto del poeta che fu (Edizioni Ensemble). Infine, nell’ottobre 2020 esce con la raccolta di poesie Le scarpe del flâneur (Edizioni Ensemble). Dirige e presenta il programma radiofonico AL BAR DELLA POESIA sulla web radio Garage radio ed è direttore artistico della programmazione culturale del caffè letterario Volta Pagina di Pisa.