Intervista a Leonardo Gori: lo scrittore fiorentino ideatore del colonnello dei carabinieri Bruno Arcieri.
Buona sera Leonardo. È un onore averti ospite nel mio salotto letterario virtuale. In questa stanza, alle cui pareti sono addossate librerie che accolgono volumi di ogni epoca e pervasa dall’odore inconfondibile della carta, ti do il benvenuto. Un attimo prima che tu arrivassi, sono caduti da una mensola due libri: uno di Ken Follett e l’altro di John le Carrè. La cosa è alquanto inquietante… Sono molto preciso, quasi maniacale, nel riporre le opere. Ma questo luogo mi ha abituato a eventi particolari. Talvolta, come se possedesse una coscienza, mi dona dei segnali. Specialmente quando sto per accogliere scrittori con la “S” maiuscola. Ora accomodati. Dammi giusto il tempo di stappare una bottiglia di Chianti che, poi, mi racconterai di te, dei tuoi romanzi, dei tuoi personaggi.
Leonardo, prima di dedicarti alla scrittura di romanzi gialli e divenire un autore molto apprezzato dal pubblico e dalla critica, per anni hai coltivato una passione: quella per il fumetto. Non sei stato solo un collezionista, ma soprattutto un ricercatore, uno studioso di questo genere “letterario”. Hai collaborato con le maggiori riviste di storia e critica del medium (il fumetto inteso come mezzo di comunicazione). Come è nato quest’amore?
Posso avere un altro bicchiere di Chianti? Stimola la memoria… L’amore per i fumetti è nato nel momento in cui ho imparato a leggere, decifrando le nuvolette (i balloons) nelle storie di “Topolino”. Era la magica età dei cinque anni, quella pre-scolare, quando ogni lettura era una meravigliosa scoperta, non imposta ma anzi profondamente amata. Ricordo quelle remote emozioni, che furono capaci di segnarmi per sempre.
A differenza di tanti miei coetanei, non abbandonai mai i fumetti, ed ebbi la fortuna di incrociare, negli anni Sessanta e Settanta, il “revival”, la riscoperta critica e storica dei grandi comics del Novecento, da Little Nemo ai Peanuts. Era un’epoca di grande fermento, e la messe di articoli dedicati ai classici del Fumetto, sui quotidiani e sui rotocalchi, mi spinse ad approfondire l’argomento. Sono nati così i miei primi saggi sulle riviste specializzate, poi le collaborazioni al Salone di Lucca e di Roma, e infine i volumi scritti in team con amici e collaboratori preziosi. Cito fra tutti “Eccetto Topolino”, riedito ultimamente da NPE, che ricostruisce il rapporto fra Fumetto e Fascismo nell’Italia degli anni Trenta.
La grande quantità di storie appassionanti, profondamente intrecciate con la Storia d’Italia e del mondo, nel periodo più turbolento del Novecento, ha poi nutrito profondamente le mie narrazioni.
Questa importante esperienza ha inciso nel successivo percorso di scrittore? Ti ha formato? Si può affermare che ti ha aiutato a sviluppare la potente capacità comunicativa del tuo stile di scrittura? Immediato, asciutto, fotografico.
Ma certo: come ho detto poco fa, il mondo del Fumetto mi ha profondamente influenzato. E non solo per i contenuti delle mie storie, ma anche per il modo di raccontarle. Io “vedo” le scene dei miei romanzi come sequenze di un film, o meglio ancora come uno storyboard, che poi è parente strettissimo del Fumetto. Seguo l’aurea regola del “mostrare, non raccontare”; voglio che il lettore veda i fatti narrati attraverso gli occhi di Bruno Arcieri, il mio personaggio, e abbia la sensazione di essere proprio lì, con lui.
Nel 2000, esattamente venti anni fa, pubblicasti con la casa editrice “Hobby & Work” il tuo primo romanzo giallo: “Nero di maggio”. Era un progetto che tenevi nel cassetto da tempo o rappresentò una sopravvenuta esigenza di confrontarti con un genere nuovo, di percorrere una nuova strada?
Fu uno stimolo improvviso, irrefrenabile. Mollai quello che stavo facendo e iniziai a raccontare la storia di Bruno Arcieri e del Gerarca senza nome, nella Firenze del 1938. Avevo deciso, dopo tanti anni impegnati a smontare i giocattoli altrui, per scoprire come funzionavano, di costruirne di miei. Ho sempre amato i “generi”, e fra tutti la narrativa di tensione, il “giallo” o “noir”, chiamalo come ti pare, in cui c’è qualcosa da scoprire, una tensione crescente e una rivelazione finale. Dunque, per la mia prima esperienza, decisi di raccontare una storia di crimini, e di ambientarla nel periodo che più mi affascinava, nel bene e nel male, ovvero la seconda metà degli anni Trenta.
Nulla di preparato, quindi. Evidentemente qualcosa stava maturando da molto tempo: già allora, ahimè, non ero più giovanissimo, e le tante letture avevano dato il loro frutto…
In “Nero di maggio” compare per la prima volta il capitano dei carabinieri, in seguito divenuto colonnello, Bruno Arcieri. Personaggio destinato ad avere una grande fortuna. Ti accompagnerà negli anni. I lettori si affezioneranno a lui, quasi da crederlo una persona reale. Tuttavia, in questo primo romanzo, non sembra avere un ruolo di primo piano. La sua personalità non si staglia cosi carismatica e inesorabile come avverrà nelle successive pubblicazioni. È una mia impressione o c’è qualcosa di vero?
Complimenti, hai colto nel segno. Ti dirò allora, in confidenza, che nella prima stesura di “Nero di maggio”, dal titolo “Corteo in nero”, Bruno Arcieri addirittura non c’era! Il protagonista era il Gerarca senza nome (che in buona parte è Alessandro Pavolini, come ho confessato in seguito). Solo in un secondo momento, rileggendo quel primo abbozzo, notai che mancava una “spalla” in grado di recepire i monologhi culturali e politici di quell’inquietante personaggio, e magari di controbattere. Ragion per cui smontai tutto e riscrissi il romanzo da capo. Bruno Arcieri nacque dunque per caso, tagliato un po’ con l’accetta, perfino un tantino antipatico… Forse è stata la sua fortuna, perché ha avuto modo di crescere, negli anni, e di raccontarmi molto di sé.
Nei tuoi gialli, le avventure di Bruno Arcieri sono sempre collocate all’interno di eventi o fatti che hanno tatuato gli ultimi novanta anni della storia italiana e internazionale: La Seconda guerra mondiale, l’alluvione di Firenze, la strage di piazza Fontana, i movimenti di rivolta verificatesi a Parigi nel 1968 durante il “Maggio francese” … Questi contesti sono stati scelti magistralmente per lo straordinario magnetismo che esercitano sulle persone, per la loro capacità di evocare suggestioni collettive, o perché Leonardo Gori è attratto in prima persona da essi? Desiderava saperne di più? Ipotizzare collegamenti celati tra le pieghe della storia e delle fonti scritte?
La parola chiave è proprio “pieghe” della storia: quei momenti in cui, all’interno di avvenimenti epocali, si ritaglia lo spazio per una vicenda più intima, personale. Cerco di sfruttare il volano delle grandi emozioni collettive, come la Seconda Guerra Mondiale o il ’68, per dare più forza alle emozioni “private” dei miei personaggi. Sono d’altronde attratto irresistibilmente dalla storia del Costume, dai momenti di crisi, dalle rivoluzioni, dalle grandi discontinuità che fanno compiere autentici balzi alla società. Parafrasando Flaubert, Bruno Arcieri sono io: un curioso e vorace viaggiatore nel tempo. Nei miei romanzi uso infatti la cosiddetta “falsa terza persona”, che in realtà è una prima, perché tutto ciò che si vede passa attraverso gli occhi del mio personaggio, e i pensieri sono sempre e solo quelli di Bruno. Il lettore è così calato dentro di lui, e la sospensione di incredulità – mi auguro – regna sovrana.
Leonardo, nelle tue tante pubblicazioni ti sei cimentato anche con il romanzo storico. Ricordiamo i thriller “I Delitti del Mondo Nuovo”, ambientato nella Toscana del 1776, e “La Città d’Oro”, la cui trama si sviluppa nel 1508 e che vede tra i protagonisti la figura di Niccolò Machiavelli. Questo genere letterario ha un grande charme per gli scrittori. E credo che uno “scrittore di razza” prima o poi ci si confronta. Ma è pieno di insidie. Mi parli della tua esperienza?
È stato più o meno come raccontare il mondo di Bruno Arcieri, che negli anni Trenta e Quaranta (ma anche nei Sessanta) è molto diverso dal nostro: solo che nei miei romanzi cinquecenteschi la profondità del tempo è molto maggiore, e quindi mi sono dovuto immergere letteralmente in un “altrove” alieno, bizzarro e straniante… Per la citata trilogia di Machiavelli e per il mio amatissimo “I delitti del Mondo Nuovo” (1776, Pietro Leopoldo Granduca di Toscana indagatore atipico e rivoluzionario), l’avventura più entusiasmante e faticosa è stata la documentazione. Mi sono fatto letteralmente sommergere dai libri, ho sfruttato consulenti e amici esperti dei periodi in cui avevo deciso di ambientare le storie… Mi sono auto-condizionato al punto di vedere il Cinquecento e il Settecento come se fossi un contemporaneo. È una follia, una specie di schizofrenia creativa, ma d’altronde chi scrive è matto.
“Il ragazzo inglese” è il tuo ultimo lavoro. È uscito a giugno 2020 pubblicato da TEA. Il colonnello dei carabinieri Bruno Arcieri torna in scena. Il pubblico lo ha accolto come sempre con grande calore. Chi non ha letto ancora la tua nuova fatica letteraria, cosa si deve aspettare? Gli puoi anticipare qualcosa? E, magari, puoi donarci qualche aneddoto curioso riguardo la stesura?
“Il ragazzo inglese” è un libro di svolta, per me: ho cercato di scrivere un romanzo-romanzo, pur rispettando i canoni del noir e del giallo (e del thriller… E anche del romanzo rosa: c’è un po’ di tutto). La psicologia di Arcieri è molto più approfondita che nelle storie precedenti. Ma è comunque un romanzo – come recitava la pubblicità del Giallo Mondadori – “che non vi farà dormire”. O almeno lo spero…
La scrittura di un romanzo è un lavoro lungo e complicato, e i casi curiosi sono frequenti. Qualche volta sembra che il Destino giochi davvero qualche carta delle sue… “Il ragazzo inglese” si può dire che ruoti intorno a una lirica contenuta in una celebre raccolta di versi, “Le occasioni” di Eugenio Montale. Ebbene, quando aprii a caso il volume in questione, la pagina in cui capitai era quella di “A Liuba che parte”. Quasi un messaggio.
Leonardo, so che sei un farmacista. Sinceramente non so se hai mai esercitato la professione. Tuttavia, ti pongo una domanda per i giovani aspiranti scrittori. È possibile vivere in Italia dedicandosi esclusivamente a scrivere libri?
Non solo esercito la professione, ma vivo di quella. Oggi è difficile mantenersi solo con la scrittura: bisogna essere molto bravi e molto fortunati, come De Giovanni, Malvaldi, Vichi… È però ugualmente necessario considerare la scrittura il primo lavoro, pensare soprattutto a quella e scrivere ogni giorno. Mi rendo conto che sembra una contraddizione, ma tant’è. Il mio caso personale – come sono diventato farmacista e perché – non è di alcun interesse. Ma a un giovane che volesse vivere di scrittura, direi di trovarsi un lavoro affine o di prepararsi a una carriera fatta di mille lavori diversi, tutti attinenti alla scrittura. Gli consiglierei anche di rivolgersi alla cosiddetta “fiction” televisiva… È un lavoro duro, di grande sacrificio, e uno su mille ce la fa.
Prima di salutarti, devo chiederti un’ultima cosa. Questa mia biblioteca, come ti ho accennato in precedenza, mi ha spesso regalato fatti alquanto bizzarri, definiamoli “coincidenze”. Ti ho anche detto che, nel momento in cui hai suonato, sono caduti da una mensola due libri: uno di Ken Follett e l’altro di John le Carrè. È possibile che tu sia legato in qualche modo a questi due scrittori?
Certo, sono due fari luminosissimi, specie Le Carrè. Consiglio sempre a tutti di leggere “La talpa”, che è forse il suo romanzo più bello, perché in veste di storia di spionaggio, racconta il mondo, le sue emozioni, gli odii e gli amori. Il primo Ken Follett, quello del “codice Rebecca” e de “La cruna dell’ago” è il vero cantore della Seconda Guerra Mondiale, la più grande catastrofe dell’umanità e il più potente serbatoio di storie da saccheggiare.
Leonardo, ti ringrazio per il tempo che mi hai concesso. Hai confermato la prima impressione che ebbi quando ti incontrai a Grosseto in occasione di una tua presentazione: un uomo gentile, disponibile, ma soprattutto uno scrittore di talento, preparato e appassionato. Spero di incontrarti di nuovo.
Lo spero anch’io. Grazie per il Chianti e complimenti per la tua splendida biblioteca. Aspetta: guarda su quello scaffale, in alto. Sta per cadere un altro libro. Credo che sia “Vita e dollari di Paperon de’ Paperoni” di Carl Barks. Abbiamo iniziato coi fumetti, e con il più grande capolavoro dei comics, degnamente concludiamo…
Cenni biografici autore
Leonardo Gori è nato a Firenze il 1 gennaio 1957. È laureato in Farmacia. Per molti anni si è interessato al fumetto e al disegno animato sia come studioso che come collezionista. Nel 2000 ha esordito nel giallo con il romanzo Nero di maggio, in cui compare la figura del capitano dei carabinieri Bruno Arcieri, soldato, agente segreto e investigatore, che tornerà in molti suoi romanzi. Il romanzo L’angelo del fango, pubblicato nel 2005 ha vinto successivamente due prestigiosi premi letterari italiani: il Premio Scerbanenco e il Premio Fedeli.
Opere
Le avventure di Bruno Arcieri
- Nero di maggio (Firenze, 1938), Hobby & Work, 2000; ed. riveduta Tea, 2018
- La finale (Parigi, 1938), Hobby & Work, 2003
- La nave dei vinti (Genova, 1939), Tea, 2019
- Il ragazzo inglese (Firenze, 1940), Tea, 2020
- Lo specchio nero (Firenze, 1940), con Franco Cardini, Hobby & Work, 2004
- Il fiore d’oro (Venezia, 1944), con Franco Cardini, Hobby & Work, 2006
- Il passaggio (Firenze, 1944), Hobby & Work, 2002; ed. riveduta Tea, 2019
- L’angelo del fango (Firenze, 1966), Rizzoli, 2005; ed. riveduta Tea, 2015
- Musica nera (Versilia, 1967), Hobby & Work, 2008; ed. riveduta Tea, 2017
apparizione in Fantasmi del passato di Marco Vichi - Il ritorno del colonnello Arcieri (Parigi, 1968), Tea, 2015
- Non è tempo di morire (Milano, 1969), Tea, 2016
- L’ultima scelta (Roma, 1970), Tea , 2018
Altri romanzi
- I delitti del mondo nuovo, Hobby & Work, 2002
- Le ossa di Dio, Rizzoli, 2007
- La città del sole nero, Rizzoli, 2008
- Bloody Mary, con Marco Vichi, Edizioni Ambiente, 2008; Einaudi, 2010
- Il lungo inganno, con Divier Nelli, Hobby & Work, 2009
- La città d’oro, Giunti, 2013
Riferimenti e contatti autore
Sito web | http://www.leonardogori.com/ |
Profilo Facebook | https://www.facebook.com/leonardo.gori.7 |
leonardo.gori57@gmail.com |
Ultima pubblicazione
Sinossi
Aprile 1940: mentre l’Italia di Mussolini si trova ancora in bilico tra la «non belligeranza» e l’ingresso in guerra al fianco della Germania, il capitano Arcieri è a Firenze, dalla sua amata Elena, sempre più colpita nel lavoro e nella vita dalle infami leggi razziali. Arcieri, in preda a un bruciante senso di colpa nei suoi confronti, la asseconda in ogni suo desiderio, compreso quello di accompagnarla da alcune amiche appartenenti alla piccola comunità inglese di Firenze. L’occasione mondana cela uno scopo ben preciso: Barbara, la padrona di casa, spera che Bruno aiuti Johnny, il giovane inglese che la donna considera un nipote, a sfuggire all’inevitabile arruolamento nelle file del suo Paese. Bruno è offeso da quella che ritiene una vera diserzione, ma lo sdegno si placa non appena viene a sapere cosa il ragazzo intende offrire, in cambio di una nuova identità per sé e per la compagna. Cosa nasconde Johnny? Perché il Comandante, responsabile del SIM e di Arcieri, si mostra così interessato al suo segreto?
In una girandola vorticosa di eventi, Arcieri si troverà coinvolto in una vicenda in cui il destino del suo Paese si intreccia pericolosamente con quello di una serie di personaggi ambigui, sfuggenti o forse solo in cerca di una possibile salvezza. Una salvezza fisica e morale che per il capitano Arcieri sembra dissolversi mentre la bufera della guerra si avvicina.
Dettagli libro
Titolo | Il ragazzo inglese |
Autore | Leonardo Gori |
Editore | Tea |
Genere | Giallo |
Formato | Libro |
Pagine | 273 |
Pubblicazione | Giugno 2020 |
Prezzo | 14,25 euro |
Link di acquisto |
https://www.amazon.it/ragazzo-inglese-Leonardo-Gori/dp/8850257244/ref=tmm_pap_swatch_0?_encoding=UTF8&qid=&sr= |