Interviste

Intervista alla scrittrice Elena Mearini.

La scrittrice Elena Mearini

Buonasera Elena. Innanzitutto, ti ringrazio per esserti resa disponibile per questa intervista. Per me è un piacere averti ospite nel mio salotto letterario. Certo, un luogo virtuale, ma sicuramente un importante ponte che ha permesso in passato d’instaurare una forte empatia con i miei ospiti e sviluppare una conversazione ricca di contenuti non solo letterari, ma anche umani.

Elena, dalle informazioni che sono riuscito a raccogliere su di te, sei nata a Milano, ma hai studiato arte a Bologna. I primi anni della tua vita li hai trascorsi nel capoluogo lombardo? Ti sei trasferita successivamente in Emilia – Romagna? In caso, quali differenze hai riscontrato tra le due realtà?

Ho trascorso i primi diciassette anni della mia vita nella provincia milanese, una periferia dolente, piena di quelle difficoltà che coinvolgono la questione del campare cercando di non distogliere lo sguardo dall’orizzonte. Poi mi sono trasferita a Milano e ho fatto la classica esperienza della studentessa che accumula andate e ritorni in treno. Milano-Bologna per portare avanti l’università e il teatro che mi dava da vivere. Della provincia mi sono portata appresso la malinconia di chi sogna un altrove e l’intelligenza della strada che distingue il passo falso da quello vero.

Prima di approdare alla scrittura, hai avuto esperienze in altri campi. Probabilmente legate tra loro. O meglio, rispondenti a una matrice comune: la tua spiccata sensibilità. Cosa ha rappresentato per te il teatro?  I laboratori che hai condotto nelle carceri, nei centri di riabilitazione psichiatrica e in alcune comunità come hanno inciso sulla tua personalità?

Il teatro mi ha dato la possibilità di ordinare le mie emozioni, metterle in figura una accanto all’altra e imparare a conoscerle, o almeno a intuirne i tratti. Il lavoro nei luoghi di disagio è stato fondamentale, ha rinforzato il mio amore per la parola che riesce a sconfinare ovunque, anche laddove le barriere si innalzano potenti e spaventose. Ho lavorato con persone provate dal vuoto e dalle mancanze, le ho viste danzare al centro delle assenze grazie ai suoni delle parole giuste e gentili.

Nel 2009 hai pubblicato per Excelsior 1881 360 gradi di rabbia. Il titolo è potente, graffiante. Totalizzante. Un urlo scagliato al mondo che mi ricorda il quadro Edvard Munch. Impressionante la tua capacità di arrivare al lettore e fargli vivere il turbamento esistenziale della protagonista. Tocchi un tema delicato, quello dell’anoressia. Il libro non passò inosservato. Si pose subito all’attenzione della critica: nell’ambito della rassegna Umbria Libri ricevette il Premio giovani lettori Gaia di Manici-Proietti. Per quanto uno scrittore possa scrivere bene e raggiungere un alto grado di empatia con i suoi personaggi, è veramente difficile creare un’opera letteraria così credibile e capace di turbare. Quanto c’è di Elena dietro questa storia?

C’è una parte buia della mia adolescenza, un tempo in cui il chiarore potevo percepirlo soltanto come ipotesi lontanissima. Ma c’è anche un profondo lavoro sullo sguardo che si è allenato a spostare le ombre per nostalgia della luce. Diciamo che 360 gradi di rabbia è servito a esaurire il giro di spavento, la paura di “essere in vita”.

Nel 2011 uscì Undicesimo comandamento edito da Perdisa Pop. Altra storia forte, intrisa di temi sociali scottanti, in primis la violenza di genere. Questo richiamo a piaghe sociali, che affliggono i nostri tempi e in cui si sviluppano le esistenze dei tuoi personaggi, sarà sempre presente anche nelle opere successive. Quanto hanno inciso le esperienze maturate in strutture riabilitative?

Ho incontrato donne vittime di violenza ma anche uomini che l’hanno inferta, ho ascoltato entrambi e ho capito quanto la privazione provochi danni irrimediabili nelle persone. L’amore che manca è una mutilazione che ci fa cadere nel ruolo di vittima o di carnefice, deforma l’armonia dell’anima e ci affossa nella dissonanza.

La scrittrice Elena Mearini

In quegli stessi anni iniziarono le collaborazioni con il settimanale Vita no profit, in cui raccontavi in chiave letteraria fatti di cronaca, e con la rivista Atti impuri. Nel frattempo, portavi avanti corsi di scrittura creativa, oltre a lavorare per alcune case editrici. Quanto è importante per uno scrittore vivere le varie sfaccettature del mondo dell’editoria e soprattutto trasmettere l’arte a persone che si vogliono avvicinare al mondo della produzione letteraria? Questo percorso ti ha arricchito?

E’ importante nella misura in cui si desideri capire i meccanismi che precedono e seguono la lavorazione di un’opera letteraria. Serve a inserire la parola nella realtà, a non perdere di vista la concretezza delle cose e le difficoltà che questo mestiere comporta.

Dal 2015 hai pubblicato A testa in giù, Bianca da morire, È stato breve il nostro lungo viaggio, Felice all’infinito e con essi sono arrivati i riconoscimenti importanti: selezione per il Premio Strega, l’ingresso nella cinquina dei finalisti del Premio Scerbanenco. Oggi in Italia non è facile affermarsi come scrittori, sia per i problemi legati al mondo dell’editoria, sia per la presenza di chiuse élite intellettuali poco aperte al confronto, al dialogo con il nuovo e lo straniero, ma soprattutto per la modesta percentuale di lettori rispetto alla popolazione totale. Spesso, tanti autori abbandonano la passione per dedicarsi ad altri lavori che permettono loro di sopravvivere. Quella dello scrittore è una professione molto difficile che il più delle volte non ripaga dei tanti sacrifici fatti. Ricevere questi riconoscimenti, quanto ti è servito per rinsaldare le tue motivazioni, per prendere consapevolezza delle tue grandi potenzialità? Ti hanno offerto nuove opportunità?

Sono stati riconoscimenti che mi hanno fatto assai piacere, certo. Però è importante non rendersi dipendenti dal fuori, non affidare del tutto allo sguardo altrui il proprio amore per la parola. Il rischio è quello di passare attraverso delusioni potenti che uccidono la passione. Il mercato editoriale si muove secondo meccanismi che non sempre premiano la qualità di un’opera, anzi. Purtroppo la buona scrittura è spesso penalizzata dalla scrittura che ammicca e strizza l’occhio.

Elena, non sei solo un’eccellente autrice di narrativa, ma hai anche pubblicato delle sillogi poetiche. Se non erro, sono tre: Strategie dell’addio, Per silenzio e voce e Separazioni. Cosa è per te la poesia? Ci sono emozioni che possano essere espresse e fissate solo attraverso questa forma letteraria?

Per me la poesia è quella presenza costante che resta sempre e non ti abbandona mai. È la riprova dell’esistenza di una grazia nel disastro generale. Per questo ho voluto fondare la Piccola accademia di poesia, una scuola che è innanzitutto luogo dove le persone si scambiano bellezza con l’insistenza dei vivi per davvero. L’accademia nasce all’interno de La Fabbrica delle storie, scuola di scrittura diretta dalla scrittrice Sara Rattaro ed è supportata dalla casa editrice Morellini. Con me, due docenti di grande pregio, l’editore di poesia Marco Saya e il poeta angelo De Stefano.

Nei tuoi corsi di scrittura creativa, procedi anche all’analisi di testi di canzoni di cantautori. Credi che siano un genere letterario a metà strada tra la poesia e la prosa, naturalmente potenziato dalla suggestione evocata dalla musica? Hai mai pensato di collaborare alla stesura di un testo?

Non ci ho mai pensato ma è qualcosa che mi piacerebbe fare, se dovesse capitare l’occasione. La scrittura è musica, il ritmo è il suo respiro.

Molti reputano la tua ultima fatica letteraria, I passi di mia madre, l’opera della maturità, quella che ti potrebbe consacrare nel gotha degli scrittori italiani contemporanei. Me ne vuoi parlare?

I passi di mia madre è una storia in cui il grido d’amore passa dalla furia alla grazia. Qui racconto il fallimento di una madre e la ricostruzione di una figlia. È un romanzo che chiude un cerchio e compie l’ultimo passo dei giorni andati.

Mauro Morellini è un editore dinamico, di grande esperienza e aperto anche alle sperimentazioni editoriali. Credi che con lui si sia creata quella sinergia, quel binomio che porterà a qualche piacevole sorpresa?

Mauro è un amico da diversi anni, è una persona di grande entusiasmo e affidabilità. Insieme portiamo avanti diversi progetti che abbracciano l’idea di bellezza e condivisione. Un incontro pieno di luce.

Elena, ti ringrazio di cuore per il tempo che mi hai concesso. Parlare con te è stato molto interessante e piacevole. Ti auguro che tu possa raggiungere sempre più lettori con le tue opere e rimango in attesa della tua prossima fatica letteraria.

I passi di mia madre 

Immagine di copertina

Sinossi

Agata è una editor quarantenne che vive nel quartiere cinese di Milano. Ossessionata dal vuoto e dalla mancanza, cerca di ovviare alle sue carenze emotive attraverso un rapporto morboso sia con il cibo che con Samuele, il classico latin lover sfuggente con cui crea una relazione di sudditanza e dipendenza. In quest’uomo Agata rivede e rivive i comportamenti di una madre narcisista, innamorata di sé soltanto, scomparsa senza dare spiegazioni quando Agata era appena una ragazzina.

Giunta all’età adulta, la donna deciderà di indagare sulla scomparsa della madre, pensando che il suo ritrovamento possa mettere fine al proprio vuoto. Agata, durante l’indagine, scrive una lunga lettera-romanzo alla madre, immaginando la sua vita dal giorno della scomparsa in poi, con l’intento di ricostruirne la storia e ritrovarla almeno nelle parole scritte.

La realtà riserverà invece una verità diversa, dura ma necessaria ad accettare ciò che ci appare insostenibile, il gesto di una madre che abbandona una figlia.

Estratto

Prologo

Ci sono giorni in cui mi alzo dal letto e incomincio a fare le cose senza una ragione, mi muovo solo per ricordarmi che esisto oppure per dimenticarmene, non l’ho ancora capito.

Sono uscita di casa, ho preso la metropolitana, un tratto sotto la terra accanto ai pendolari del mattino. In ogni faccia una storia da indovinare, se ne avessi avuto voglia avrei riempito un quaderno intero di probabili trame.

Ho contato cinque fermate, poi sono scesa senza domandarmi dove.

Non avevo motivo di venire qui, in corso Buenos Aires, eppure ci sono.

Allora cammino, che altro potrei fare, copio i passi della gente e ogni tanto replico le loro soste. Prima davanti alla vetrina di un nuovo negozio sportivo, poi al bar per un caffè.

Proseguo verso piazzale Loreto, continuo finché il marciapiede non s’interrompe, c’è un incrocio, il semaforo è rosso. Dall’altro lato della strada alcuni ragazzi mangiano patatine fritte, infilano le mani nel sacchetto e mischiano come se dovessero estrarre un numero per la pesca di beneficienza. Vivono il cibo con l’entusiasmo di una vincita certa. Li invidio.

Smetto di guardarli per non pensare alle disfatte dei miei piatti quotidiani, mi volto e fisso le calze esposte nella vetrina del negozio qui accanto.

Righe fitte, colori al limite della fluorescenza, giallo, verde, viola, arancio, un sovraccarico che confonde la vista. Sposto lo sguardo, lo spingo oltre la porta del negozio. Un uomo e una donna di spalle, alla cassa, stanno pagando.

Lui apre il portafoglio e allunga la carta di credito alla commessa, lei ripiega in due la busta con le calze e la mette in borsa.

I capelli lunghi, robusti, quel nero a metà tra la liquirizia e il cioccolato, una miscela che non si può ripetere due volte uguale. Era capitato a mia madre quel colore, nessun’altra testa lo può avere. Si volta, le ciocche nere le ricadono sugli occhi, coprono parte del volto, però la bocca è la stessa, quella che lasciava cadere a caso i baci della buonanotte mancandomi la fronte.

Mamma, sei tu? Mamma, guardami.

Non respiro, mi manca l’aria per dire, l’aria per muovermi.

L’uomo la prende sottobraccio, escono dal negozio, il semaforo è verde, attraversano la strada a passo svelto, dall’altro lato il tram si ferma, le porte si aprono.

Mamma, sei tu? Mamma, voltati.

E’ tutto troppo veloce e io non ho aria per dire, non ho aria per muovermi. Il respiro basta appena a reggermi in piedi, qui, appoggiata al semaforo di nuovo rosso.

L’uomo e la donna salgono sul tram, le porte si chiudono. Per un attimo lei mi guarda. Ma così, dietro il vetro, da lontano, mentre il tram riparte e si allontana.

Non posso giurare che quella fosse la sua faccia.

E forse i capelli se li sarà tagliati e il colore è stato solo uno scherzo della luce, la liquirizia e il cioccolato una burla della fame. Sono a stomaco vuoto.

Manca la colazione e manchi tu, mamma. Dove sei?

Dettagli libro

Titolo I passi di mia madre 
AutriceElena Mearini
EditoreMorellini
GenereNarrativa
FormatoLibro
Pagine224
PubblicazioneGennaio 2021
Prezzo15,90 euro
Link di acquisto
https://www.amazon.it/passi-mia-madre-Elena-Mearini/dp/8862988133

Cenni biografici autrice

La scrittrice Elena Mearini

Elena Mearini vive a Milano ed è autrice e docente di scrittura creativa e poesia. Dirige la Piccola Accademia di Poesia fondata nel 2020.

Ha pubblicato una raccolta di poesie per LiberAria Editrice, Strategie dell’addio, e tre per Marco Saya Editore, Per silen­zio e voce, Separazioni e Aritmia.  

Nella narrativa ha esordito con 360 gradi di rabbia per Excelsior 1881, e poi ha pubblicato A testa in giù, Morellini Editore, Undicesimo comandamento, Perdisa pop editore, Bianca da morire, Cairo Editore, selezionato al Premio Campiello, ed È stato breve il nostro lungo viaggio, Cairo Editore, selezionato per lo Strega nel 2018 e finalista nella cinquina per il Premio Scerbanenco. Nel 2019 è uscito Felice all’infinito, pubblicato con Perrone Editore, ed è di gennaio 2021 I passi di mia madre, candidato allo Strega dello stesso anno con la presentazione di Lia Levi.

Ha curato l’antologia Tra Uomini e Dei, storie di rinascita e riscatto attraverso lo sport per Morellini Editore ed è presente in diverse antologie di narrativa, tra cui Lettere alla madre e Lettere al padre, sempre per Morellini editore, a cura di Anna di Cagno.

Riferimenti e contatti autrice

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