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Intervista allo scrittore anglo-armeno Baret Magarian.

Lo scrittore anglo-armeno Baret Magarian

Baret, innanzitutto ti ringrazio per avermi concesso questa intervista. Sono sempre entusiasta di approfondire la conoscenza di eclettici artisti come te.

Sei un cittadino britannico di origine armena. Quindi, immagino che tu sia nato in Inghilterra da una famiglia proveniente da questa repubblica del Caucaso, precedentemente appartenente all’Unione Sovietica. Potresti farmi qualche accenno a riguardo?

Sono nato a Londra, ma sono cresciuto in una famiglia che aveva mantenuto la sua identità armena. I miei genitori mi parlavano in armeno, andavo regolarmente alla chiesa armena a Kensington, mia madre preparava cibo armeno, tra l’altro davvero delizioso! Lei nacque in Siria, ma si trasferì, ancora bambina, a Cipro, quando a mio nonno fu offerto il posto di prete armeno di Nicosia. Mio padre ebbe i natali nella stessa Nicosia, dove lavorava nel settore assicurativo. I miei genitori si incontrarono lì ed emigrarono nel Regno Unito a causa della minaccia di un’invasione turca dell’isola, avvenuta in realtà nel 1974.

La mia educazione è stata tipicamente britannica, il che significava morire congelati sui campi da gioco durante il brutale inverno, scrivere righe in detenzione e avere sadici maestri di scuola che non avrebbero mai trovato un lavoro al giorno d’oggi. Ero uno scolaro molto infelice a cui non piacevano le docce comuni con gli altri ragazzi e per di più non ero portato per lo sport. Forse tutto ciò ha contribuito a far nascere in me il desiderio di diventare uno scrittore.

Qual è stato il tuo percorso di studi?

Ho studiato letteratura inglese alle università di Londra e Durham.

Sei un giornalista freelance, hai scritto articoli e recensioni per The Times, The Guardian, The Daily Telegraph, The Independent, The Observer. Com’è la vita del giornalista freelance? È difficile muoversi nel mondo dell’odierna stampa anglosassone?

Sì, sono stato un giornalista freelance. Oggi scrivo articoli solo occasionalmente. Scrivere per i giornali britannici è stato eccitante. Era entusiasmante vedere il mio nome apparire su quelle pubblicazioni. Il giornalismo è incredibilmente difficile: devi essere determinato, coraggioso, ma allo stesso tempo estremamente diplomatico. Se offendi o infastidisci gli editori, le tue possibilità di successo precipitano. Tuttavia, è meraviglioso entrare in contatto con persone interessanti e importanti. Due anni fa, ho avuto la possibilità d’intervistare Andre Gregory. È stato un privilegio, un onore. In futuro mi piacerebbe intervistare John Pilger: per me uno dei giornalisti più brillanti e audaci, un uomo che incarna alti valori nello svolgere il proprio lavoro. Ha smascherato i mali del capitalismo e della globalizzazione.

Baret, quando hai capito che l’arte era la tua mission?

Fin da bambino – circa 8 o 9 anni – ho iniziato a scrivere racconti, a disegnare, a creare i miei libretti e opuscoli pinzati insieme. Mi ha sempre affascinato l’idea d’inventare cose, raccontare storie, intrattenere le persone. All’età di 15 anni, fui invitato a una festa in una casa magnifica e ricordo di aver avuto una conversazione con un uomo carismatico che mi chiese cosa volessi fare nella vita. Gli risposi che trovavo accattivante l’idea di divenire un artista. Mi guardò compiaciuto e impressionato. Tutti a quella festa furono incredibilmente gentili con me. Fu come essere in paradiso. Nessun’altra esperienza sociale successiva eguagliò quella in termini di pura magia e piacere.

Sei stato un regista teatrale d’avanguardia. Mi parleresti di questa fase della tua vita artistica?

Beh, ho sempre adorato il teatro e in realtà non c’è niente che mi renda più felice di dirigere uno spettacolo teatrale. Amo l’idea di costruire sul palco una “illusione reale” con una scenografia capace di stregare il pubblico. La regia rappresenta per me una sorta di Eden pre lapsario, un paradiso dove nessuno è escluso e tutti sono i benvenuti; un luogo sicuro, un regno dei sensi, un tempio di pura creatività. Per me il palco, le luci, l’auditorium, il backstage, il sipario sono tutti elementi di pura magia. Dirigere un’opera teatrale significa essere creativi, ma ciò non basta, si deve essere anche empatici, carismatici, pazienti per motivare e incoraggiare gli attori. Inoltre c’è bisogno di essere molto pratici, per bloccare una scena, per capire i set di illuminazione. Ma ne vale la pena, è un lavoro da sogno. Chi riesce a vivere facendo questo mestiere è immensamente fortunato.

Ho scritto un’opera teatrale di tre ore, “Josephine”. È una sorta di dramma soul post-checkoviano e la misi in scena mentre ero uno studente. La protagonista è una donna che ha relazioni con tre diversi tipi di uomini: uno che rappresenta il padre/mentore, uno l’amico platonico e l’ultimo l’amante sensuale. È un’opera simbolica, complessa e sottile. Ricordo di aver avuto un fantastico scenografo, Dougal Wilson, che realizzò un superlativo set in bianco e nero con sfondi avvolgenti ispirati a Munch e all’art nouveau. Il livello della produzione e della recitazione fu straordinario per uno spettacolo studentesco. Fu un grande successo, nonostante la sua lunghezza e complessità. Fui benedetto da un cast davvero strepitoso.

A Londra, anni dopo, durante l’estate diressi The Misanthrope” di Moliere in the Middle Temple Gardens. Produzioni all’aperto del genere possono essere molto affascinanti, ma stavo mirando a qualcosa che fosse anche stimolante e un po’ sconcertante: Moliere percepito attraverso un prisma di Strindberg. Potei contare su una costumista di grande talento che fece sembrare il tutto un dipinto del diciottesimo secolo di Watteau. Fu semplicemente grandioso.

Ho anche co-scritto un’opera teatrale intitolata “Chinese Whispers” che partecipò all’Edinburgh Fringe Festival. La struttura della trama si rifà all’omonimo gioco, da cui trae il titolo. Esibirsi a Edimburgo fu un’esperienza incredibile perché la città è completamente intrisa di arte e di ogni tipo di stimolo culturale durante il festival.

L’ultima fatica teatrale, prima di lasciare il Regno Unito, fu un cabaret/musical, “The Molotov Cocktail”. In questa produzione, canzoni di Weil, Mercer e altri venivano suonate al pianoforte su un palco fumoso con retroproiezioni e mimo.  Lo spettacolo, tra l’altro estremamente divertente, aveva echi decadenti ed espressionisti, in particolare si ispirava a opere come “Cabaret” e “The Threepenny Opera”.

Com’è maturata la decisione di lasciare l’Inghilterra e trasferirti in Italia?

Amo la luce, il sole. Volevo provare la sensazione del suo intenso calore sulla pelle per più di qualche giorno all’anno. In Inghilterra, questo piacere dura un batter di ciglia. Non volevo più vivere in un’ampolla grigia e fredda.

Sei un discreto musicista, in particolare suoni molto bene il piano, ma ami anche la chitarra e il canto. Un vero artista poliedrico… In passato ti sei esibito in diversi locali del Bel Paese. Pensi che dopo il lockdown, causato dal Covid, avremo modo di poter assistere ancora a qualche tua performance?

Finita questa pandemia, dovrei fare un concerto nel favoloso castello di Montauto a Grassina, un paese a circa mezz’ora da Firenze. Ovviamente siete tutti invitati. La location è splendida. Sarà un evento speciale. Mi esibirò per circa un’ora, suonando un pianoforte a coda in una sala dall’ottima acustica e illuminata con dozzine di candele. Quando suono, vado in estasi. La musica mi trasporta in un’altra dimensione, in un mondo incantato di pura emozione. Essa è una stupefacente sintesi tra sentimento e razionalità, tra passione e matematica. In fondo il cuore, l’organo/strumento che sostiene la vita, batte ritmicamente seguendo una metrica: a volte piano, a volte veloce, scandendo il tempo della nostra esistenza.

Lo scrittore anglo-armeno Baret Magarian

Non è finita qui, hai anche recitato in video musicali e trailer di film. Mi puoi dire qualcosa a riguardo?

Ho lavorato principalmente con Alessio delle Valle, un bravissimo regista. Abbiamo fatto delle cose insieme sul Lungarno a Firenze. Inoltre, ho partecipato a un video pop e, in una pellicola, ho interpretato un meccanico di automobili coinvolto nella pianificazione di una rapina. Beh, il più delle volte ero sotto un’auto, quindi non molto affascinante… Ah! Ah! Ah! Scherzi a parte, la cosa fantastica della recitazione è che ti permette di sfuggire alla prigione del sé, di essere momentaneamente qualcun altro. Il mondo ha bisogno di attori: mantengono le cose in equilibrio. Ci sono troppi uomini d’affari e pochi attori. Dobbiamo apprezzare di più gli artisti, premiarli per il loro coraggio e lavoro.

Ma arriviamo finalmente al Baret Magarian poeta e scrittore. Hai pubblicato poesie su Collettivo R a Firenze, sul Journal of Italian Translation a New York e sul Semicerchio e Contrapasso in Australia. Inoltre, sei uscito con una silloge poetica, Scherzando con tutte le mie bestie preferite, edita da Ensemble nell’ottobre 2018. Cosa rappresenta per te la poesia?

La poesia per me è essenziale, sensuale, sensoriale. È vita e morte allo stesso tempo. Racchiude ogni cosa. È come il vento, come i granelli di sabbia: il suo materiale – il suo contenuto – è evanescente, fatto di momenti, di frammenti. La sua sostanza è fugace, atomizzata; momentanea, come petali, come lacrime di sofferenza o rughe di risata. I poeti sono gli ultimi romantici, gli ultimi avventurieri in questi giorni di oscurità asettica e d’incubo tecnologico.

In una tua raccolta di racconti, Melting Point, sei stato paragonato dallo scrittore britannico Jonathan Coe a Kafka e a Pessoa. Mi vuoi parlare di questa tua fatica letteraria?

I racconti sono stati scritti in luoghi e in modi diversi. Alcuni sono usciti in un’ora nel trasporto dell’ispirazione, come “Meltdown”, altri sono stati più consapevoli, più difficili, come “The Opiate Eyes of the Buddha”. Quest’ultimo è basato su un’esperienza che ho avuto durante un viaggio in Sri Lanka circa dieci anni fa: avevo prenotato una stanza in un albergo dove era stata uccisa una coppia la notte prima del mio arrivo. Un episodio estremamente snervante e surreale. L’area della reception dell’hotel era disseminata di vetri e sangue, ma il portiere si comportava come se fossero parte dell’arredamento e niente fosse accaduto.

Un’altra storia è stata ispirata dall’isola greca di Santorini, che adoro. Non c’è gioia più grande nella vita che noleggiare uno scooter e girarla tutta. Il vento, il mare, la velocità sono inebrianti.

Un’altra ancora parla di un naufragio a Cipro. È un racconto alla Edgar Allan Poe, da brivido.

I componimenti sono tutti diversi, ho cercato di non ripetermi. Il migliore è probabilmente “La Tela del Dolore”, che ho adattato in un monologo teatrale, messo in scena a Torino e Firenze con il grande attore italoamericano Roberto Zibetti. Nel complesso sono molto orgoglioso della raccolta e penso che ci sia una storia per tutti al suo interno.

The Fabrications è un tuo romanzo pubblicato da Pleasure Boat Studio, tradotto successivamente in italiano e pubblicato da Ensemble. Per inciso, sarà tradotto a breve anche in tedesco ed edito da Folio Verlag. Questa tua opera è stata accolta con molto favore in America, non sono mancate recensioni estremamente positive. Anche in Italia si sta facendo strada raccogliendo consensi. Ti va di parlarmi ti questo tuo romanzo che tra l’altro ho letto e apprezzato?

È una produzione molto ambiziosa, con una vasta tela di personaggi folli: artisti, ciarlatani, giornalisti, ragazze squillo, un indovino, un milionario ungherese, uno spin doctor estremamente potente che non possiede barlume di moralità …. Nel romanzo è molto interessante l’analisi condotta, con una forte componente satirica, sui media odierni. Da sottolineare nell’opera, anche delle risonanze filosofiche nell’esame delle personalità dei protagonisti, nei loro ego e alter-ego. Insomma, un libro avvincente da leggere che sono sicuro vi catturerà.

Baret, ringraziandoti per il tempo che mi hai concesso, ti porgo un’ultima domanda. Nel mondo di mezzo in cui penetra l’artista nella sua fase creativa, si hanno intuizioni, prospettive sulla realtà che portano a cogliere trame invisibili altrimenti precluse. L’arte può salvare? Può divenire un potente catalizzatore per giungere a una maggiore consapevolezza dell’esistenza?

L’arte non può salvarci, non credo. L’unica cosa che può salvare le persone sono le persone stesse, quando trovano dentro di sé le risorse, il coraggio e la forza per superare il dolore, la miseria e la solitudine della vita. Dobbiamo essere tutti i nostri salvatori, i nostri dottori.

La vita è allo stesso tempo sorprendente e orribile, meravigliosa e terribile, un miracolo e un incubo. Dobbiamo sviluppare la nostra forza e saggezza, ma soprattutto l’amore. Necessitiamo di trovare dentro noi stessi una dimensione di bellezza e speranza; di coltivare con cura un nostro piccolo giardino interiore, il quale ci accompagnerà attraverso i tempi bui, i tunnel della solitudine, i paesaggi invernali e devastati. Se riusciremo a fare ciò, saremo capaci di librarci, di percepirci al sicuro, di sentire le tiepide brezze primaverili. In poche parole, potremo essere felici.

Penso che la mission dell’arte, in particolare quella della letteratura, sia quella di aiutarci a provare compassione, di donarci diversi punti di vista sulle cose, di renderci meno egoisti, meno egocentrici, meno nichilisti. L’arte è l’antidoto al veleno del fascismo perché rifiuta la nozione di un solo insieme di credenze. Sgretola la convinzione di una verità assoluta, accettata in modo cieco, prescrittivo, tossico.  

Ecco perché è così importante. Coloro che leggono libri sono allergici all’indottrinamento coatto e a insensate certezze che rifiutano qualsiasi tipo di pensiero critico. Quindi, credo che essere sensibili all’arte e alla letteratura ci renda persone migliori e più gentili.

Barret, ti ringrazio per la tua disponibilità. A presto.

Le macchinazioni

Immagine di copertina

Sinossi

Quando Bloch, un famoso romanziere londinese, decide di scrivere un racconto sul suo amico Oscar, i dettagli immaginari della trama cominciano ad avverarsi. Oscar, da pittore mancato, sta per diventare profeta…

Una storia sui miti della celebrità, sul potere di Internet e sulle mistificazioni che fondono e confondono verità e leggenda. Magarian ci porta in un mondo che ha abbandonato il realismo e ci guida in un viaggio pieno di pathos, umorismo e bellezza sovversiva, dando vita a un’opera selvaggiamente inventiva, con un cast di personaggi abbaglianti e grotteschi. Le macchinazioni è un romanzo che riflette i nostri tempi tumultuosi, unico nel suo genere, capace di mescolare satira, amore e meditazione su sesso e identità.

Estratto

Il giorno nasceva, diffondendo un presagio di purezza. Per qualche secondo, la luce sembrò quella della creazione. Poi, nel batter d’occhio che separa gli ultimi istanti della notte dai primi istanti del mattino, il profilo vago della luna si nascose e il cielo diventò un’infusione universale di blu. Su in alto, in piedi alla finestra del suo studio, c’era un uomo che guardava aspettando che la città si svegliasse. Rumori di vita
indistinti lo raggiungevano e gli inondavano la mente di ricordi. Particelle di polvere mulinavano pigre nei raggi di sole. L’uomo pensava che Londra assomigliasse alla mente, che le strade, i viali, le fogne e le gallerie di Londra alludessero a parti del cervello, e che la sua complessità in forma di griglia corrispondesse alla complessità della memoria e della coscienza. Dopo aver dato uno sguardo all’alba, si sedette alla scrivania e batté in fretta qualche parola.

21 maggio. Ancora nessuna idea nuova. Barny comincerà a perseguitarmi?


Il pezzo forte della stanza era una magnifica scrivania in legno di mogano sulla quale era poggiata soltanto una macchina da scrivere Underwood. L’uomo odiava i computer, cercava, per quanto possibile, di evitare ogni contatto con la tecnologia e si considerava un tipo fascinosamente vecchio-stile. Il pavimento di legno era disseminato di penne, di libri, di fogli. Giù in strada, erano comparsi un ragazzo che consegnava i giornali e una signora che portava a spasso il barboncino. Più lontano, un tizio armeggiava col lucchetto di un banco del pesce. L’uomo continuò a osservarli per qualche secondo.


Basta con la robaccia popolare. È il momento di qualcos’altro. Barny mi perseguiti pure, ma tanto io non ballo. Ho ballato anche troppo per Natalie. E cinque anni fa ho buttato fuori dalla pista mio padre, quando s’è messo a ballare con lei. Vecchio porco.

Dettagli libro

TitoloLe macchinazioni
AutoreBaret Magarian
EditoreEdizioni Ensemble
GenereNarrativa
FormatoLibro
Pagine576
PubblicazioneOttobre 2019
Prezzo18 euro
Link di acquisto
https://www.amazon.it/macchinazioni-Baret-Magarian/dp/8868814633/ref=tmm_pap_swatch_0?_encoding=UTF8&qid=&sr=

Cenni biografici autore e opere

Lo scrittore anglo-armeno Baret Magarian

Baret Magarian è anglo-armeno. A Londra ha svolto l’attività di giornalista freelance, scrivendo recensioni e articoli per The Times, The Guardian, The Daily Telegraph, The Independent, The Observer, The New Statesman, e TheTimes Literary Supplement.

È stato anche regista teatrale d’avanguardia (Il misantropo di Molière, Josephine scritto da Magarian, Chinese Whispers di Grant Gordon, Cocktail Molotov, uno spettacolo di cabaret e canzoni).

Poi, si è trasferito in Italia, dove ha recitato in video musicali e trailer di film.

Ha pubblicato poesie su Collettivo R a Firenze, sul Journal of Italian Translation a New York e sul Semicerchio e Contrapasso in Australia.

Ha inoltre pubblicato narrativa breve in World Literature Today, Journal of Italian Translation, Darker Times e sulle riviste online Sagarana e El Ghibli.

Il suo romanzo The Fabrications (Pleasure Boat Studio) ha avuto delle recensioni molto positive in America. La versione italiana è uscita con il titolo Le Macchinazioni (Ensemble Editore). Simone Innocenti, critico/giornalista del Corriere della Sera, ha scritto di Magarian:

<<Una delle migliori voci della narrativa contemporanea>>.

Nella postfazione della sua raccolta di racconti in italiano, Melting Point, è stato paragonato da Jonathan Coe a Kafka, a Calvino e a Pessoa.

La Tela del Dolore, un suo monologo, è stato presentato a Torino e Firenze con Roberto Zibetti (Io Ballo da Solo, Pasolini) in una performance di total theatre: con film, musica dal vivo e quadri. Lo stesso pezzo è anche stato presentato a Reykjavik in Inglese con Pall Palsson.

Magarian ha anche pubblicato una novella Specchio e Ombra (LG Editore) e una raccolta di poesie Scherzando con tutte le mie bestie preferite (Ensemble). 

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