Recensioni

“Io sono l’Indiano” di Antonio Fusco.

Immagine di copertina

Sinossi

Capelli lunghi legati con un codino, impulsivo, insofferente alle gerarchie e alle ingiustizie, l’ispettore Massimo Valeri è conosciuto da tutti come l’Indiano.

Abita in una barca ormeggiata nel Porto turistico di Roma e le sue uniche compagne di vita sono una moto Guzzi California EV e Lorena, gatta dal portamento aristocratico che si presenta ogni giorno per reclamare cibo.

Nel suo passato c’è Giulia, la sola donna che abbia mai amato davvero. Nel suo presente, un intricato caso da risolvere.

Da una settimana una ragazza eritrea staziona davanti al commissariato del XVII distretto e chiede giustizia per la scomparsa del suo compagno Jemal, uno dei tanti fantasmi sbarcati in Italia. I giornalisti sono attirati dalla protesta e la polizia non ha risposte: per il sostituto commissario Bruno Tognozzi, detto il Cane, la faccenda è spinosa e l’Indiano, da poco entrato nella squadra ma già in rotta con il superiore, è la persona giusta su cui scaricare il problema.

In una Roma sferzata dalla pioggia che si prepara alla piena del Tevere, tra disperati, potenti e faccendieri di ogni sorta, l’ispettore Valeri si troverà implicato in un’indagine ben più delicata del previsto. Da quella scomparsa infatti parte un filo sottile e invisibile che lega i destini e gli interessi di individui insospettabili.

Recensione

Io sono l’Indiano è un romanzo poliziesco scritto da Antonio Fusco e pubblicato da Rizzoli nel giugno 2022.

Il protagonista dell’opera è l’ispettore Massimo Valeri conosciuto da tutti con il soprannome  dell’Indiano. Un personaggio ideato da Fusco magistralmente; uno di quelli che ti chiedi se l’ispirazione di certi autori abbia bisbigli metafisici. Una figura originale, graffiante, tosta, genuina, alla quale difficilmente non ci si affeziona. Lavora al commissariato del XVII distretto di Roma, ma vive su una barca ormeggiata a Ostia. Niente macchina per lui, solo, per dire, una moto Guzzi California EV. Donne sì; di passaggio: nel suo cuore non c’è più posto da quando vi prese la residenza Giulia e ce la lasciò anche quando andò via. 

Un uomo vero con una vita vera; probabile. Fatta di quei dispetti del destino che stigmatizzano le giornate e a volte l’esistenza. Imperfetto nelle sue insofferenze e debolezze, ma ancora capace di essere sensibile e di profonda empatia. Ma soprattutto reso inquieto da un indelegabile senso di giustizia.

L’indagine che gli viene affidata è una di quelle senza spessore, che si danno  per ripicca, quasi per frustrare l’incaricato. Per di più gli viene affiancato un collega sui generis messo all’angolo dal distretto.

Tuttavia, il caso si mostrerà più complesso di quanto si credesse. A poco a poco, svela un sistema di malaffare che piaga la capitale, dove si intrecciano rapporti tra politica, cooperative sociali e criminalità. Fusco dimostra di possedere un’approfondita conoscenza del contesto sociale e delle dinamiche clientelari in cui si collocano le investigazioni dell’ispettore Valeri. E come si sa, la realtà ha più fantasia dell’immaginazione…

Quindi nella suspense che accompagna la soluzione del caso, il lettore viene accompagnato alla conoscenza di uno spaccato della nostra società collocato nell’ombra, in una terra di confine tra emergenze sociali e illegalità.

Un’opera che tocca temi scottanti come quello dell’immigrazione clandestina, presentandola nella sua cruda drammaticità, ma anche collocandola in un contesto umano fatto di speranze di uomini e donne, di sacrifici e sofferenze, di piccole conquiste e di tante disillusioni.

Tutti i personaggi sono abilmente caratterizzati. Si svelano passo dopo passo anche grazie a flashback che ci presentano i loro precedenti vissuti, i quali ci permettono di comprenderne il carattere e i comportamenti. Allora ci rendiamo conto che il cattivo non è in fondo così cattivo, che spesso la sua aggressività è solo una forma di difesa o di insofferenza alla vita che lentamente corrode e tormenta. Non esiste il cavaliere puro senza macchia, così come non esiste il carnefice senza lati di luce.  Ognuno è mosso da ragioni, da una risposta più o meno ortodossa agli schiaffi dell’esistenza, dal desiderio di rivalsa.

Il libro scorre argentino come un torrente di montagna, agevolato da una scrittura asciutta e incisiva. I dialoghi sono serrati e realistici con l’uso di espressioni dialettali che rafforzano le interazioni tra i personaggi e calano il lettore ancora di più nel contesto del racconto.

Un’opera, quella di Antonio Fusco, che a giorni dal termine della lettura, ci lascia il ricordo dell’ispettore Valeri, del suo profumo, della sua vita, dei suoi colleghi e del suo distretto: il XVII di Roma. L’indagine si dimenticherà, ma non l’Indiano che sarà pronto a condurci alla soluzione di un nuovo caso.

Dettagli del libro

TitoloIo sono l’Indiano
AutoreAntonio Fusco
Editore Rizzoli 
GenereGiallo
FormatoLibro
Pagine216 
PubblicazioneGiugno 2022
PrezzoEuro 16
Link di acquisto
https://www.amazon.it/Lindiano-Antonio-Fusco/dp/8817162493

Estratto

Ventimiglia, valico ponte San Luigi


Su un lato della stanza, proprio di fronte alla porta d’ingresso, una grande finestra affacciava direttamente sul mare. Per favorire il ricircolo dell’aria decisero di tenerla aperta. A chi mai sarebbe venuto in mente di buttarsi giù e affrontare un salto di venti metri? Invece, Jemal scappò proprio così.


Negli attimi che separarono il folle proposito dalla realizzazione dell’impresa, la disperazione gli fece crescere le ali, e quando si lanciò nel vuoto sembrò che avesse imparato a volare. Gli altri corsero a guardare e rimasero a bocca aperta vedendolo agitare le gambe sospeso nell’aria, come se ballasse sulla striscia d’orizzonte che separava il blu intenso del cielo dall’immensa distesa d’acqua brulicante dei riflessi del sole.


Per un po’, nessuno disse nulla. Lo stupore è muto, si sa. A loro interessava soltanto sapere come sarebbe andata a finire, così da poter raccontare, un giorno, di quella volta che un pazzo di negro aveva creduto di essere un uccello e si era lanciato da una finestra nel mare della Costa Azzurra.


La gendarmeria francese, prima di consegnarlo ai colleghi italiani, insieme a un’altra trentina di migranti fermati senza documenti oltre il confine, li aveva avvisati che Jemal era un tipo da tenere sott’occhio. Più volte aveva provato a scappare al punto che avevano dovuto ammanettarlo dietro la schiena. I poliziotti italiani avevano fatto la stessa cosa ma dentro l’ufficio della Scientifica erano stati costretti a liberarlo. Non
potevano fotografarlo con le manette ai polsi né prendergli le impronte digitali in quelle condizioni.


Per prudenza, lo avevano accompagnato in quattro, ma non bastò. Quando si rese conto di cosa stavano per fargli, Jemal cominciò ad agitarsi come un indemoniato nel bel mezzo di un esorcismo. Non voleva assolutamente che lo identificassero. Si morse anche le dita nel tentativo di rendere inutilizzabili i polpastrelli. Provarono a tenerlo per le braccia e per le gambe, e appena capì che non avrebbe potuto resistere alla forza di quattro uomini decise di giocare d’astuzia.

Notò la finestra aperta e fece finta di calmarsi, così gli agenti allentarono la presa. Chiuse gli occhi come se stesse per svenire. In realtà, aveva solo bisogno di riprendere fiato e recuperare le forze.


Fu in quell’attimo che rivide il volto di sua madre in lacrime nel momento dell’addio e quello di suo padre, distante qualche metro, che cercava di nascondere l’espressione di chi si sente in colpa per non aver potuto fare abbastanza.


Pensò al lungo viaggio nel deserto, all’amore per Zula, alle torture nei campi di prigionia in Libia, alla cattiveria degli uomini, al silenzio soffice del mare e alla paura della morte sempre in agguato nel buio dell’abisso.


Quel turbinio confuso di ricordi, all’improvviso, divenne rivelazione e poi consapevolezza e poi coraggio. Io non posso morire perché sono già morto, nessuno mi può fermare, disse a se stesso. Quindi, saltò.


Se fosse stato un sogno, Jemal si sarebbe svegliato di soprassalto, proprio un attimo prima di toccare le acque cristalline del mare. Una donna, sicuramente Zula, la sua promessa sposa, asciugandogli il sudore dalla fronte lo avrebbe tranquillizzato, gli avrebbe detto sottovoce che era stato solo un incubo e che poteva tornare a dormire senza timore perché c’era lei al suo fianco a vegliare contro i demoni della notte.


Se fosse stata una favola per bambini, Jemal non sarebbe mai caduto in mare. Il suo sarebbe stato il volo di un’aquila fiera che oscura il sole con le proprie ali giganti e domina il vento. Avrebbe percorso rotte infinite tra l’Africa e l’Europa per indicare la giusta direzione a chi si mette in viaggio verso la speranza di una vita che non sia solo penosa sopravvivenza.


Se fosse stato un film, Jemal sarebbe entrato in acqua con un’angolazione perfetta e il movimento aggraziato di un bravo tuffatore. Avrebbe nuotato veloce fino a una spiaggia lontana della Francia. Tanto lontana da non poter essere catturato dagli uomini delle Compagnies républicaines de sécurité che
pattugliavano la costa di Menton, ma abbastanza vicina da poter essere raggiunto dalla sua amata che lo aspettava dall’altra parte del confine.


Non si trattava però di un sogno e nemmeno di una favola per bambini o di uno stupido film americano dal finale strappalacrime. Era la realtà. La banale, scontata, triste e deludente realtà. E allora successe che Jemal cadde in acqua come un sacco di patate andate a male e per poco non affogò.


Furono gli agenti del Reparto Mobile, dai quali era scappato, a salvarlo. Quando lo videro annaspare nel mare sottostante, si precipitarono attraverso un ripido sentiero e lo raggiunsero. Due di loro si tolsero la giubba e il cinturone per avvicinarsi quel tanto che bastava a tirarlo in salvo. C’era gente che, con il cellulare, riprendeva la scena dalla strada; quindi, resistettero alla tentazione di gonfiarlo di botte per la corsa e il
bagno fuori programma che li aveva costretti a fare.


Lo riportarono su e lo fecero accomodare sul pullman che a breve sarebbe partito per il CPR, Centro permanenza per i rimpatri, di Ponte Galeria a Roma. Mentre un paio di uomini rimanevano a sorvegliarlo, il caposquadra andò a chiedere disposizioni al funzionario responsabile del servizio di scorta, il commissario Balduzzi.


«Lo abbiamo riacciuffato, dottore. Che si fa? Proviamo di nuovo a prendergli le impronte?» chiese il sovrintendente Magliulo.
«Per carità, non se ne parla nemmeno. Abbiamo già perso troppo tempo. Quello piuttosto si farebbe ammazzare. Sa bene che, in base all’accordo di Dublino, una volta identificato in Italia non potrà più chiedere asilo in altri Paesi europei. Anzi, se lo fermassero per un controllo lo rispedirebbero qui
da noi. Evidentemente, non ha nessuna intenzione di restare in Italia. Avrà interesse a stabilirsi altrove. Forse ha qualcuno di importante che lo aspetta» rispose il funzionario, che di esperienza nel settore ne aveva maturata tanta.
«Quindi? Come facciamo?» domandò ancora il sovrintendente per ricevere ordini precisi che non lasciassero spazio a dubbi e a possibili contestazioni di responsabilità.
«Lo porteremo a Roma insieme agli altri. Una volta consegnato al CPR saranno problemi loro» sentenziò il commissario Balduzzi, applicando il sempre valido principio dello scaricabarile.
«Scapperà anche da là!» provò a obiettare Magliulo.
Il commissario, che era romano, chiuse il discorso mettendoci sopra il sigillo definitivo che non lasciava spazio a ulteriori interlocuzioni.
«E ’sticazzi nun ce lo metti?» gli disse.
A quel punto, il caso era chiuso.

Cenni biografici sull’autore

Lo scrittore Antonio Fusco

Nato a Napoli nel 1964, vive a Pistoia dove è funzionario della Polizia di Stato. Laureato in Giurisprudenza e Scienze delle pubbliche amministrazioni, si occupa dal 2000 di casi di polizia giudiziaria in Toscana ed è criminologo forense.

Ha esordito nella narrativa nel 2014 con il romanzo noir Ogni giorno ha il suo male introducendo il personaggio del commissario Tommaso Casabona protagonista al 2020 di sei indagini.

Con La pietà dell’acqua ha vinto nel 2016 la quinta edizione del Premio Mariano Romiti.

Opere principali

Serie del commissario Tommaso Casabona

  • 2014 – Ogni giorno ha il suo male, Firenze-Milano, Giunti;
  • 2015 – La pietà dell’acqua, Firenze-Milano, Giunti;
  • 2016 – Il metodo della fenice, Firenze-Milano, Giunti;
  • 2017 – Le vite parallele, Firenze-Milano, Giunti;
  • 2019 – Alla fine del viaggio, Firenze-Milano, Giunti;
  • 2020 – La stagione del fango, Firenze-Milano, Giunti.

L’ispettore Massimo Valeri

  • 2021 – Quando volevamo fermare il mondo, Giunti;
  • 2022 – Io sono l’indiano, Milano, Nero Rizzoli.

Riferimenti e contatti autore

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