Ischia, isola incantata: tra mare cristallino, splendide spiagge, terme, cultura ed enogastronomia.
C’è un’isola, posta all’estremità settentrionale del golfo di Napoli, che il Mediterraneo ha voluto eleggere a sintesi della propria bellezza. Vi ha racchiuso le sue migliori qualità: il clima mite, le acque cristalline, spiagge e scogliere ammalianti, benefiche sorgenti termali, fertile terra tufacea dai superlativi vitigni autoctoni. Un’isola sensuale, quasi afrodisiaca, ma allo stesso tempo etera. E come Venere emersa dalle spume di un mare gravido. Un miracolo geologico, scaturito da un acceso scontro tra i quattro elementi, che porta il visitatore in una dimensione di magnificenza e armonia, capace di curare anima e corpo, quietando la mente. Parlo di Ischia, la più grande delle isole Flegree con i suoi 43 km di costa che orlano il possente e mistico monte Epomeo.
Già nell’VIII secolo a.C., Greci provenienti dall’Eubea vi si insediarono e diedero vita alla colonia di Pithekoussai che, nel periodo di massimo splendore, arrivò a contare circa 10.000 abitanti. Il centro principale si sviluppò sulle alture di monte Vico, nel nord dell’isola. La colonia prosperò grazie ai commerci, in particolare con gli Etruschi stanziati sulla terra ferma: ferro, ma anche ceramiche e vino. E la passione dei Greci per il nettare degli Dei è attestata da un ritrovamento eccezionale avvenuto proprio a Ischia nel 1953. In quell’anno, l’archeologo tedesco Giorgio Buchner, nella necropoli di San Montano a Lacco Ameno, rinvenne la Coppa di Nestore risalente al 725 a.C. La tazza, larga non più di 10 cm, riporta un’iscrizione non solo considerata uno dei più antichi esempi di scrittura alfabetica, ma anche di poesia in lingua greca. Con i suoi tre versi pare alludere alla famosa coppa dell’eroe descritta nell’Iliade. Proclama:
«Io sono la bella coppa di Nestore, chi berrà da questa coppa subito lo prenderà il desiderio di Afrodite dalla bella corona».
Vino, amore, bellezza e poesia, non credo sia un caso che il reperto sia stato ritrovato a Ischia: questi quattro elementi sono nel DNA dell’isola. E assolutamente non indifferenti al grande poeta cileno Pablo Neruda che qui approdò nel giugno del 1952 in compagnia della donna amata, Matilde Urrùtia. Proprio durante quel soggiorno, ispirato dalla bellezza del luogo e forse influenzato dalla sua magica aura, compose la famosa poesia L’uomo invisibile.
Ma ora andiamo a visitare alcuni luoghi della Perla delle Flegree, raggiungibile con solo un’ora di traghetto da Pozzuoli. Il fine è condividere con voi le emozioni che mi hanno donato, ma soprattutto offrirvi delle informazioni utili per esplorare i siti più suggestivi di Ischia.
Però, prima di partire alla scoperta dell’isola, vorrei suggerire di programmarvi una vacanza non nei mesi di luglio o agosto, in cui c’è una massiccia presenza di turisti provenienti da tutto il mondo, ma optare per quelli primaverili o autunnali. Il periodo da me preferito sono le ultime due settimane di maggio e le prime due di giugno: temperatura perfetta sia per bagni in mare che per la frequentazione dei parchi termali, spiagge poco affollate, acque cristalline senza meduse, personale delle strutture ricettive e ristorative fresco e motivato prima dell’inizio della stagione vera e propria.
Lacco Ameno è il primo paese che presento. Di lui si innamorò negli anni Cinquanta l’editore e produttore cinematografico Angelo Rizzoli che qui decise di comprare la settecentesca Villa Arbusto, eleggendola a sua dimora nell’isola. Oggi, divenuta proprietà del Comune di Lacco Ameno, ospita il Museo Archeologico di Pithecusae (nome latino di Ischia, Pithekoussai in greco), dove sono esposti i numerosi reperti rivenuti nella zona che vanno dal neolitico all’epoca romana, ma soprattutto dove è custodita la Coppa di Nestore.
Ma Villa Arbusto ospita anche un museo dedicato allo stesso Rizzoli. Ma perché dedicargli un museo? Perché Angelo fece molto per Ischia. Non solo ristrutturò Villa Arbusto rendendola luogo di incontro per personaggi italiani e internazionali del mondo della cultura, dell’arte e della politica, ma rilevò anche le antiche terme del paese e le ampliò, costruendo il primo hotel di lusso di Ischia, il Regina Isabella. In poco tempo arrivò a essere considerato tra i trenta più ambiti a livello planetario. Ma non finì qui la sua opera. Nel 1962 donò al paese l’ospedale pubblico e attivò tutti i suoi canali editoriali per promuovere l’immagine dell’isola.
Piazza Santa Restitua è la principale di Lacco Ameno ed è lì che si affaccia la chiesa dell’omonima Santa che, insieme a San Giovan Giuseppe, è patrona dell’isola. La festa annuale in suo onore dura per ben 11 giorni, dall’8 al 18 maggio.
I giorni più suggestivi dei festeggiamenti sono gli ultimi due: il 17 la statua della patrona è imbarcata su una nave e viene condotta in una processione via mare, accompagnata dal suono delle sirene di piroscafi e pescherecci, fino alla Marina di Casamicciola, dove avviene la benedizione del Vescovo. All’imbrunire, fa ritorno a Lacco Ameno. Il giorno seguente, il 18, mentre i fedeli lanciano fiori al suo passaggio, il venerato simulacro percorre le vie del paese fino ad arrivare all’ospedale per portare il suo messaggio d’amore e conforto a tutti i malati. Una celebrazione che, divisa tra lo sfolgorio delle luminarie e il gaudio delle bancarelle da una parte e fasi di grande intensità liturgica dall’altra, crea nei partecipanti una peculiare euforia mistico – mondana.
Piacevole è passeggiare sul lungomare dove si affacciano vetrine ben allestite di negozi, ristoranti e locali che dopo il tramonto offrono musica dal vivo. Qui è anche possibile mirare il celebre scoglio di tufo verde, la cui sagoma ricorda quella di un fungo. Alto una decina di metri, è divenuto uno dei simboli di Lacco Ameno.
Ma la perla del borgo è la spiaggia di San Montano a meno di 2 km dal centro abitato. A forma di mezzaluna è incastonata tra due scogliere. L’arenile, sufficientemente esteso, offre sia una parte di spiaggia libera, sia una parte su cui sorge uno stabilimento balneare dove affittare lettini e ombrelloni. La considero la più bella dell’isola. L’acqua, dai riflessi verde smeraldo, è cristallina e quasi sempre calma: la baia, essendo esposta a nord, è protetta dai venti di maestrale e scirocco.
È adatta ai nuotatori con boe posizionate alquanto distanti dalla battigia che obbligano le barche ad ancorarsi a una significativa distanza. Ma questa spiaggia di sabbia fine è perfetta anche per le famiglie con bambini piccoli, offrendo bassi fondali che degradano lentamente, e per gli amanti dello snorkeling che possono bordeggiare la scogliera a ovest imbattendosi in una discreta varietà di pesci e molluschi. Inoltre, è presente a pochi metri dalla riva un getto di acqua termale.
L’atmosfera onirica che avvolge la baia conduce i bagnanti in uno stato di benessere e armonia. Galleggiare sulle sue acque, con sullo sfondo la verde mole del monte Epomeo, permette di sentirsi parte della bellezza in cui si è immersi. E questa emozione consola, allontana le pressioni di un sistema sociale che ci fa sempre sentire la mancanza di qualcosa, inadeguati, tormentati da un’ansia profonda. Qui, a San Montano, si riesce a vivere l’hic et nunc.
Nei pressi della baia, si trova il parco idrotermale e botanico di Negombo. Fu creato per volere del Duca Luigi Silvestro Camerini alla fine degli anni Quaranta che vide in questo luogo una somiglianza con l’omonima città dello Sri Lanka. È dotato di 13 piscine all’aperto e di una coperta all’interno del centro benessere. Nel parco è possibile ammirare esemplari di piante provenienti da tutto il pianeta.
Altro borgo marinaro che adoro è Forio, considerato il cuore culturale di Ischia. Passeggiando tra le vie del centro storico, è facile imbattersi in botteghe d’arte e piccoli atelier di artisti. Ma soprattutto vi vengono organizzati molti eventi.
In particolare, c’è un luogo magico dove il tempo evapora in un eterno presente e lo spazio si dilata fino a divenire infinito in un orizzonte di bellezza. Lì, una chiesa bianchissima, posata su uno sperone di roccia proteso verso il mare, pare una preghiera pura e piana di grazia che si eleva dal Mediterraneo verso il cielo. Sa di sale e d’immensità, di balsamo per lacrime e malinconie, di ristoro per anime erranti. È la Chiesa del Soccorso dedicata a Santa Maria della Neve.
Fu eretta a picco sul mare a metà del XIV secolo in stile greco-bizantino. Importanti interventi di restauro effettuati tra il Settecento e l’Ottocento gli hanno conferito l’aspetto attuale. L’interno, a una sola navata con cappelle laterali e abside, conserva un bel crocifisso del XVI secolo di manifattura catalana a cui vengono attribuite potenti proprietà taumaturgiche. La leggenda narra che fu trovato in mare da alcuni marinai. Altro particolare, che colpisce il visitatore nel tempio, è la presenza di modellini di velieri ex voto.
La vasta terrazza sospesa sul blu di fianco alla chiesa, alla quale è collegata da una scalinata, può essere considerata un santuario a cielo aperto. Qui l’Assoluto non si manifesta in sculture o dipinti di soggetto sacro, ma nelle magnifiche forme di una natura toccante. Al tramonto è possibile assistere a un raro fenomeno ottico, il raggio verde: il sole, appena prima di scomparire nel mare, crea una sottile striatura luminosa colore smeraldo che dura pochi istanti. Sorseggiare un aperitivo in questo luogo, nel momento in cui il giorno accarezza la notte, ci può trasportare in una realtà surreale dove la materia si liquefa in una dimensione emozionale.
La spiaggia che preferisco nei pressi di Forio è quella di Citara. Offre un ampio tratto di litorale libero e un altro su cui sorgono stabilimenti balneari. Il contesto naturale è molto suggestivo. La lingua di sabbia termina a sud con l’imponente scogliera di Punta Imperatore che rappresenta il punto più occidentale dell’isola.
Su questo promontorio, rivestito di macchia mediterranea, sorge a 164 m di altezza l’omonimo faro: tra i più antichi del Mediterraneo, oggi è divenuto un esclusivo hotel. Ma torniamo alla spiaggia. È bagnata da un mare trasparente sul cui fondale sono posati giganteschi massi: alcuni sfiorano la superficie, altri vi si elevano; quasi briciole cadute dalla tavola di giganti. I Romani attribuivano alle sue acque poteri fecondanti, tanto che l’arenile fu messo sotto la protezione di Venere Citerea. Su questo lido, si sente potente il respiro del Mare nostrum; ti investe avvolgendoti al ritmo delle onde e sciacqua via ogni pensiero grigio, scrostando l’anima da ogni residuo tossico.
Impossibile non segnalare che alle spalle della spiaggia di Citara, si trovano i Giardini di Poseidon: un parco dotato di 22 piscine termali. Con una superficie di 50 mila metri quadri, è il più grande di Ischia.
Ma nel territorio del comune di Forio si trova un altro luogo straordinario. Lo annovero tra i più fascinosi dell’isola. Rapisce il cuore del visitatore e rimanere tatuato nella memoria. È la baia di Sorgeto.
Per raggiungerla si deve arrivare a Panza, dove consiglio di lasciare la macchina, e intraprendere una camminata di un paio di chilometri. Si giunge a un belvedere. Il respiro resta sospeso e il cuore perde un battito: l’immagine che si mostra rapisce, tanto da condurre in una contemplazione estatica. In basso si apre un’insenatura a forma di mezzaluna, al centro della quale, incastonata tra due possenti pareti rocciose a picco sul mare, si trova una riva ciottolosa. Lì, si intravedono delle vasche di pietra in cui l’acqua bollente di polle minerali si mescola a quella fredda e salata del mare cristallino. In queste piccole piscine è possibile immergersi tutto l’anno e si dice che le sorgenti termali che vi sgorgano siano le più curative di Ischia.
Tuttavia, per raggiungere questa oasi di benessere si deve affrontare una prova: scendere più di 250 scalini, che al ritorno sembrano molti di più. Un sacrificio che vale la pena di essere fatto. Inoltre, sul lido, è presente uno stabilimento che offre servizi di ristorazione. E, in verità, per chi ha problemi fisici o è semplicemente pigro, la baia è raggiungibile con taxi boat che partono da Sant’Angelo.
L’immersione nelle vasche regala emozioni uniche, rappresentando un confine di contaminazione tra i benefici termali e marini. Un incontro di essenze salmastre e minerali capace di inebriare.
Assolutamente da non perdere è una visita a Sant’Angelo. Un tempo piccolo centro di pescatori, oggi iconico borgo mediterraneo. Case bianche con persiane azzurre, case addossate le une alle atre, case che formano stretti vicoli; si inerpicano su un costone di tufo che si incunea nel mare di fronte a un caratteristico isolotto collegato al paese da un sottile istmo di sabbia scura di origine vulcanica e percorso centralmente da un viale.
Qui, all’inizio di questa striscia che taglia il mare e aperta su un porticciolo, si trova una seducente piazzetta capace di stregare: interdetta ai mezzi, come del resto tutto il borgo, vi si affacciano locali con tavoli all’aperto dove sostare per godere della tranquillità e bellezza del luogo. Ma Sant’Angelo propone anche boutique con griffe esclusive, raffinate gioiellerie, studi d’arte e botteghe artigiane che espongono le rinomate ceramiche.
Addentrandosi nel dedalo di vicoletti in salita, che spesso donano scorci di straordinaria bellezza sul mare, il silenzio diventa una presenza. Solo il rumore bianco del vento e i garriti dei gabbiani in voli funamboli lo tracciano in pennellate d’infinito. E in questo labirinto in cui è dolce naufragare, ci si imbatte in una targa che ricorda il soggiorno del poeta Pablo Neruda nel giugno del 1952 e riporta alcuni versi tratti dalla lirica El Hombre Invisible che proprio a Sant’Angelo compose.
La targa che ricorda il soggiorno del poeta Pablo Neruda.
Nei pressi del paese, sono numerose le zone termali e le sorgenti. In particolare, vorrei ricordare per la sua singolarità la Spiaggia delle Fumarole. Su questo arenile arroventato ed eccezionalmente asciutto, in cui il vapore termale ha trasmesso tutte le proprietà del bacino idrico sottostante, è possibile effettuare le sabbiature: un operatore scava una buca, il cliente vi si adagia e viene ricoperto di sabbia alla giusta temperatura. Questa pratica è consigliata per curare affezioni reumatiche, postumi di fratture, sciatalgie e artropatie. In alcuni punti della spiaggia, dove si raggiungono i 100 gradi, si può anche cucinare con apposite tecniche.
Prima di passare a suggerire altri siti di interesse turistico, voglio ricordare che Ischia ha un’eccellente tradizione enogastronomica.
La vite fu introdotta dai Greci provenienti dall’Eubea. E l’isola si mostrò un luogo particolarmente adatto alla sua coltivazione grazie al clima mite e al terreno tufaceo. Oggi si producono due ottimi vini bianchi DOC. Uno è il Biancolella: dal colore giallo paglierino, con il suo sapore fruttato e floreale (importante il sentore della ginestra) si abbina benissimo con i frutti di mare e i crostacei; l’altro è il Forastera: più corposo rispetto al primo, è il tipico vino da pasto a base di pesce. Ma Ischia propone anche un gradevole rosso DOC: il Piedirosso, detto più comunemente Per’e palummo (Piede di piccione) perché il colore del graspo ricorda il rosso della zampa dei colombi. Equilibrato nel gusto fruttato, è perfetto su pasti a base di carne.
Sorprendentemente, il piatto più rappresentativo della cucina locale non è a base di pesce. Principe della tradizione gastronomica dell’isola è il coniglio all’ischiana. Viene cucinato in un tegame di terracotta, detto tiano, con aglio, olio di oliva, sale, peperoncino, vino Biancolella, pomodorini e spezie. Una volta cotto il coniglio che viene servito come secondo, con il sughetto rimasto sul fondo del recipiente, al quale si aggiunge qualche sfilaccio di carne per renderlo ancor più ricco e saporito, si condiscono i bucatini con un’abbondante spruzzata di parmigiano grattugiato. Una pietanza squisita che si deve assolutamente testare in un soggiorno a Ischia.
È arrivato il momento di parlare del Castello Aragonese, forse il luogo più emblematico della perla delle Flegree. Posto a Ischia Ponte, sorge su un’isola tidale collegata alla maggiore per mezzo di un ponte in muratura lungo 220 m.
Le prime tracce di una fortificazione, arroccata sull’isolotto di roccia trachitica alto 113 m, risalgono al 474 a.C., anno in cui il Greco Siracusano Gerone I, venuto in aiuto dei Cumani nella guerra contro gli Etruschi, costruì in questo luogo una roccaforte.
Con l’arrivo dei Romani e la fondazione della città di Aenaria, il sito mantenne ancora la funzione di fortino e venne ampliato con l’edificazione di alcune abitazioni. Con la caduta dell’Impero Romano, si susseguirono saccheggi e dominazioni da parte dei Visigoti, Vandali, Ostrogoti, Arabi, Normanni, Svevi e Angioini che modificarono profondamente l’impianto originario della struttura difensiva.
Nel 1301 si ebbe un notevole impulso allo sviluppo urbano dell’insediamento. In quell’anno l’eruzione dell’Arso distrusse la città di Geronda e gli ischiani si rifugiarono nella rocca.
Ma è agli Aragonesi che si deve l’attuale fisionomia del castello. Nel 1441, Alfonso d’Aragona intraprese un’importante opera di ristrutturazione: ricostruì il vecchio maschio d’età angioina, realizzò il ponte artificiale di collegamento, eresse poderose mura. Qui, il popolo d’Ischia poté finalmente sentirsi protetto dalle incursioni dei pirati.
Alla fine del XVI secolo il castello visse il periodo di maggiore splendore: vi risiedevano 1892 famiglie e contava ben 13 chiese. La decadenza iniziò a metà del Settecento, quando, terminate le incursioni dei Saraceni, le persone iniziarono a ricolonizzare l’isola alla ricerca di terra da coltivare e di baie sicure per la pesca. Il definitivo tramonto dell’insediamento si ebbe nel 1809 a seguito del cannoneggiamento inglese alla rocca nella quale si erano asserragliati i Francesi.
Nel 1823, Ferdinando I, re di Napoli, trasformò il castello in carcere per gli ergastolani e, in seguito, per dissidenti politici. Soppresso con la costituzione del Regno d’Italia, la fortezza rimase in stato di abbandono fino all’8 giugno 1912, giorno in cui dei privati la acquistarono dal demanio iniziando un mirabile intervento di restauro.
Oggi è possibile visitare il castello ed è un’esperienza che consiglio vivamente. Passato un arco d’ingresso alla fine del ponte, dove si trova la biglietteria, ci si inoltra in un’imponente galleria scavata nella roccia e lunga 400 metri. Fu realizzata durante la ristrutturazione voluta da Alfonso d’Aragona. Prima di allora l’accesso era possibile solo via mare attraverso una scala situata sul lato nord dell’isolotto. La luce, che filtra da alti lucernari in raggi pulviscolari, pone l’ambiente in un’arcana semioscurità capace di trasportare in una mistica suggestione.
Attraversato il traforo, ci si può dirigere alla Cattedrale dell’Assunta. Fu edificata nel 1301 dopo l’eruzione dell’Arso sopra una preesistente cappella che ne divenne la cripta. Originariamente in stile romanico, subì nel XVI secolo un restauro secondo i canoni rinascimentali e fu arricchita nel Settecento con pregevoli stucchi barocchi. Presenta tre navate: le due laterali hanno volte a raggiera, mentre la copertura della centrale crollò sotto il cannoneggiamento inglese.
Il 27 dicembre 1509 vi si celebrò il matrimonio tra Vittoria Colonna e Ferrante d’Avalos. La marchesa Colonna, che risiedette per lungo tempo nel Castello Aragonese, fu una delle donne più affascinanti e importanti del Rinascimento italiano. Poetessa lei stessa, fu promotrice di un sodalizio culturale e artistico di cui fecero parte Michelangelo Buonarroti, Ludovico Ariosto, Jacopo Sannazzaro, Bernardo Tasso e tanti altri.
Vero gioiello della Cattedrale dell’Assunta è la cripta precedentemente menzionata, a cui si accede attraverso una doppia rampa di scale. Dedicata a S. Pietro, fu realizzata tra l’XI e il XII secolo. Nell’ambiente centrale con volte a crociera si aprono 7 cappelle gentilizie voltate a botte. Le pareti mostrano una serie di pregevoli affreschi di scuola giottesca del Trecento. Nel silenzio e nell’equilibrio della struttura si sperimenta uno stato contemplazione estetica.
Interessante la visita al convento di S. Maria della Consolazione da dove si può accedere al Cimitero delle Monache: un luogo suggestivo su cui è necessario spendere due parole. Posto sotto la chiesa, presenta alcuni vani che ospitano gli scolatoi, seggi in muratura sui quali venivano assise le salme delle religiose. Gli umori dei corpi in decomposizione erano raccolti in appositi vasi, fino a che gli scheletri essiccati erano collocati nell’ossario. Quotidianamente le monache si recavano in questi ambienti per meditare sulla morte e sulla caducità della carne.
Nei pressi dei monumenti appena descritti, si trova il Terrazzo dell’Immacolata da cui si gode di una magnifica vista sul borgo di Ischia Ponte.
Ma le chiese, le torri, gli antichi edifici da scoprire al Castello Aragonese sono innumerevoli. Mi limiterò ad accennare ad altre due attrattive. La prima è la Casa del Sole: un’antica costruzione dove sono esposti reperti e collezioni d’arte moderna. L’altra è il Terrazzo degli Olivi: un tempo il giardino del castello che Alfonso d’Aragona donò a Lucrezia d’Alagno, la bella popolana di Torre del Greco, della quale si innamorò.
Da lì si può godere di un panorama a 360 gradi sul golfo di Napoli. Nella pace e tranquillità che vi regnano, l’anima si espande silente ad abbracciare e fondersi con il mare, le isole, la costa. Poi, improvvisamente, rapita dal volo di un gabbiano si eleva con una vertigine e plana sul meraviglioso mistero della vita.
Ma se vogliamo avere una visione completa dell’isola, dobbiamo salire sul monte Epomeo, un gigante di tufo verde di 787 metri d’altezza. Per raggiungerne la vetta, si deve prendere un sentiero ben indicato che parte dal paese di Fontana: una camminata non particolarmente impegnativa che attraversa fiabeschi castagneti e, nell’ultimo tratto, conduce a battere un tratturo scavato tra imponenti blocchi tufacei. Un’ascesa intrisa di bellezza e suggestione che ripaga ampiamente dello sforzo. La visuale che si ha dalla cima è pura estasi. E questo lo sapevano bene gli asceti che qui si ritirarono nel XV secolo dando vita al complesso rupestre di San Nicola, con l’eremo a picco sullo strapiombo.
In questo articolo, ho selezionato quei luoghi di Ischia che più mi hanno colpito e regalato emozioni. Ma quest’isola offre in ogni angolo scintille di magnificenza. È un tonico fiorito per l’anima, una pozione alchemica fatta di gocce di mare e di acqua termale, di polvere di tufo e petali di bouganville, di chicchi d’uva e raggi di sole, ma soprattutto del sorriso e della gentilezza degli ischiani: il vero catalizzatore che permette al composto di trasformare la malinconia del visitatore in gioia.
Libro suggerito da mettere in valigia
Sinossi
Torna l’ineffabile commissario Jules Magrite, con i baffi, le maglie a righe, la passione per i cibi di qualità e i vini d’annata. Torna in Italia come turista. Al suo fianco il giudice Michelle Lapierre, conosciuta durante le indagini su un caso sanguinoso.
Con lei vive una relazione di abbandono e pudore, di tenerezza e disincanto, che in questa vacanza potrebbe consumarsi o, chissà, diventare una vera storia d’amore. La loro permanenza a Ischia – o, come dicono i francesi, “Iscià” – è appena cominciata quando l’omicidio di un giovane romeno scuote la quiete dell’isola. Magrite non tarda a farsi coinvolgere, anche perché dal giorno del suo arrivo Peppe ‘o Francese – meglio noto ai flic come Pépé le Couteau – lo riempie di racconti e confidenze, su di sé e i suoi compaesani, come se davvero non avesse aspettato altro.
E oltre il sipario delle buganvillee, delle scogliere e dell’acqua verde-azzurra il commissario scopre ben presto corruzione, degrado, criminalità. Pépé le Couteau accompagna Magrite dentro l’inferno di uno dei più celebrati paradisi mediterranei. Fino a dove? E a che prezzo? Dopo “Giallo su giallo”, Gianni Mura scrive un noir civile intenso e appassionato.
Dettagli libro
Titolo | Ischia |
Autore | Gianni Mura |
Editore | Feltrinelli |
Genere | Noir |
Formato | Libro |
Pagine | 176 |
Pubblicazione | Novembre 2012 |
Prezzo | 8 euro |
Link di acquisto |
https://www.amazon.it/Ischia-Gianni-Mura/dp/8807019183 |