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“Tra il silenzio e il tuono” di Roberto Vecchioni

Immagine di copertina

Sinossi

C’è un’età della vita in cui si può trovare una voce pura: una voce tra il silenzio e il tuono. Non c’è un altro modo per parlare di sé, forse, quando guardarsi indietro, e dentro, è lo stesso movimento. E tutto, proprio tutto – le gioie, i dolori, la scoperta dell’amore come quella della morte – è in noi con la stessa forza.

Attraverso le lettere di un ragazzo che cresce e di un misterioso nonno, Roberto Vecchioni ha scritto il suo romanzo più intimo e struggente. Questo è un romanzo fatto di lettere, ma non è un romanzo epistolare come gli altri.

Si alternano due voci: da una parte c’è lui, Roberto Vecchioni, che racconta a un fantomatico nonno alcuni degli episodi più significativi della sua vita. Li riporta in presa diretta, proprio mentre gli accadono, a dieci, quindici, trenta, ottant’anni. Infanzia, amicizie, studi, canzoni, dolori, amori. Sconfitte e vittorie.

Il nonno, dal canto suo, non gli risponde mai: forse non ce n’è bisogno, forse conosce Roberto fin troppo bene. Le sue lettere sono indirizzate ad altri personaggi, veri o immaginari, e affrontano gli argomenti più disparati. Che si tratti di Schubert, di bizzarre teorie sugli ingorghi stradali o di scrittori russi che conosce soltanto lui, ne scrive sempre con la medesima, grandissima passione.

E anche se le lettere di Roberto raccontano la storia di una vita – e insieme la storia di un corpo, che sente, ama, si ferisce, si ammala – e quelle del nonno sono puro pensiero, capita di rimanere spiazzati, perché ogni tanto parlano di qualcosa che sembra essere accaduto a entrambi. Di un palco illuminato, ad esempio, e di un uomo che chiede di essere chiamato amore. Ma, soprattutto, della morte di un figlio, e del dolore lacerante che non ti abbandona mai.

Cinquantatre lettere, cinquantatre momenti sfolgoranti per catturare «l’ombra sfuggente della verità». In un tempo in cui il prima e il dopo possono confondersi, e persino, forse, illuminarsi a vicenda.

Recensione

Tra il silenzio e il tuono è un romanzo scritto da Roberto Vecchioni, pubblicato da Einaudi nel febbraio 2024.

Potrebbe essere inquadrato come romanzo epistolare, ma lo trascende. In effetti, i capitoli prendono la forma di singole lettere: alcune scritte da Vecchioni a un misterioso nonno, altre vergate dallo stesso anziano, ma non come risposte al nipote; tutt’altro, paiono riflessioni sulla letteratura, il teatro, la musica, la filosofia, i costumi d’oggi e indirizzate a personaggi noti e altri immaginari.

Roberto parla di sé con genuinità al nonno. Si confida, si spoglia: gli mostra prima il cuore nudo, poi, nuda, gli presenta l’anima. Sorge il dubbio che quel nonno non sia altro che il Vecchioni d’oggi a cui arrivino epistolari memorie, attraverso un viaggio a ritroso nel tempo per riscoprire il bambino, il ragazzo, il giovane uomo che era.

E questo viaggio, che sa riportare indietro le lancette fino al 1950, quando Roberto aveva appena sette anni, è per lui una vera e propria regressione; pare che riviva gli avvenimenti in una sorte di trance ipnotica, dove anche lo stile di scrittura si conforma all’età. Eventi densi, emotivamente coinvolgenti che ci parlano dell’infanzia, dell’adolescenza, della maturità dell’autore, del contesto familiare. Ma nel descrivere i cambiamenti che si verificano nella sua esistenza e coscienza, emergono sullo sfondo quelli della società italiana degli ultimi 70 anni.

Bello rivivere con lui gli anni dell’ascesa come cantautore. Anni duri, dove niente è regalato. Anni di canzoni scritte per altri. Anni di esibizioni nei cabaret degli storici locali milanesi: la Bullona, il Refettorio, El Lanternin, Le Clochard. Anni di speranze e amori spezzati (o forse semplicemente esauriti), di vino e passione, di andate e ritorni. Anni di amicizia con Guccini e Branduardi. Anni che portarono a Samarcanda.

Vecchioni in questo libro intimo, ci parla anche di cosa significhi l’amore per lui, quello passionale, quello per una donna. Un amore che si evolve nel tempo, sempre meno egoistico e più sensibile, ma imprescindibilmente legato al contatto, al desiderio. Un amore che arriva a raggiungere l’equilibrio dopo fallimenti, lotte, disperazioni. Un amore che con Daria diviene albero dalle salde radici nella terra e rami che si elevano all’infinito, ma anche casa, focolare dove ritornare dopo viaggi di conoscenza e scoperta, di mestiere di cantastorie. Un filo rosso, quello con Daria, capace di risvegliare il lato di Vecchioni, fuori dall’industria dello spettacolo, segnato dagli affetti, dalla famiglia, dagli amici, dai cicli delle stagioni, dalla natura.

Alla fine, forse, il nonno rappresenta l’altra parte della personalità di Roberto. L’uomo attratto dal sapere, immerso nei tempi e nella società, l’uomo che arriva a vedere la realtà come un’opera surreale, ma tuttavia desidera incidervi una traccia utile. L’uomo predisposto alla critica dei sistemi, ma aperto alla magnificenza della bellezza. Ma forse, semplicemente un nonno solo, preda di uno smarrimento cosmico. Eccitato e irrequieto di fronte alla luce, ai misteri, ai miti del creato, ma anche al cospetto del suo buio, dolore, solitudine e morte, sente l’esigenza di centrarsi su questo sputo di universo (cit. Chiamami ancora amore). Ed ecco, che per farlo, ha bisogno di riscoprire quel ragazzo che andava a giro su una Seicento.

Vecchioni conduce il lettore in un viaggio attraverso la sua vita, ma in generale attraverso la condizione umana. Mai banale, mai scontato. Gli episodi, gli aneddoti, le riflessioni sono sempre guarniti, al momento giusto, di geniale ironia che tende a sdrammatizzare, a far passare quelli che potrebbero sembrare concetti astratti e distanti, sotto un profilo accattivante e quotidiano.

La scrittura è scorrevole, non si perde in costruzioni ridondanti. Precisa, a volte paratattica, arriva dritta non facendo perdere al lettore la presa sul testo. Vecchioni usa il più delle volte un linguaggio vero, non distante dal parlare di tutti i giorni, ma estremamente preciso nella struttura della frase; cosa capace solo a chi ha una grande padronanza della lingua. Quindi, Tra il silenzio e il tuono è un libro adatto a un target trasversale di lettori.     

Dettagli del libro

TitoloTra il silenzio e il tuono
AutoreRoberto Vecchioni
EditoreEinaudi
GenereNarrativa
FormatoLibro
Pagine 184
Pubblicazionefebbraio 2024
PrezzoEuro 18
Link di acquisto
https://www.amazon.it/Tra-silenzio-tuono-Roberto-Vecchioni/dp/8806255088

Estratto

Il Tenco. Partì tutto da un ex partigiano, commerciante di fiori, già scampato per un pelo a una fucilazione e alla ricerca ostinata di un secondo miracolo: inventare proprio lì, a Sanremo, una rassegna, o meglio un conventicolo, una carboneria musicale di disperati e meno disperati cantori del vero, da opporre alle melensaggini (di allora) del festival della musica leggera.

Un triangolo d’uomo tutto spigoli e angoli che a vederlo non gli davi una lira, che già di suo non ne aveva. Irriducibile. Una mattina si era svegliato e aveva trovato l’invasor, le canzonette, e allora vai con la resistenza. Tu, Carlin, eri ancora nella pancia della mamma (si fa per dire), quando affittò l’Ariston, sa Dio come, e si circondò (si fa per dire, erano due o tre) dei collaboratori più improbabili, intellettualoni persi tra le nuvole, ideatori di sogni mal fabbricati, al grido di «Vincere o morire».

Non che noi (eravamo in quattro il primo anno) fossimo da meno. Offuscati dall’ideale, che è sfidare l’assurdo con l’assurdo, gridammo «Presente». Il disastro era nell’aria: nessun media parlò della cosa, la vendita dei biglietti fu inesistente. Io, Guccini e Gianni Siviero, nella testarda sicumera dei folli, ce ne stavamo sdraiati e tranquilli nella hall del Des Etrangers a tracannare e sparar cazzate. Solo Branduardi, in un angolo, anima nera, rimuginava baratri.

E venne la gran sera. Bigi aveva avuto la grande idea di riempire di bottiglie uno stanzino dell’Ariston e la genialata di appiccicarci un cartello con la scritta «Infermeria», perché nessuno osava confessarlo ma ce la facevamo sotto e l’infermeria serviva eccome. Eravamo dietro le quinte, stabilimmo l’ordine d’uscita: Francesco, la nostra punta di diamante, per ultimo. Silenzio, passi, rumore. Nessuno si azzardò a sbirciare da dietro il sipario.

Lì lì per cominciare uno di noi, non dico chi, se ne esce con: «Io me ne vado, non ce la faccio», e s’avvia. Sei braccia lo avvinghiano, lo sbattono sopra una sedia , arriva Bigi. Mentre lo teniamo gli infila in gola una bottiglia di Negramaro a mo’ di trasfusione. L’uomo si scuote, passano secondi, l’uomo torna cantautore, ma il panico resta.

Tutti abbiamo dimenticato cosa dobbiamo cantare eppure è roba nostra: niente, black-out collettivo, strizza anestetica. Io non ricordo nemmeno come comincia Luci a San Siro. In tutto ciò l’infallibile Silva, professore di filosofia a Ceriano Laghetto, appare in smoking con farfallino a elastico: solo ora apprendo che sarà lui a presentare. Nella nebbia della memoria lo rivedo l’anno prima a far coppia con me tra gli esaminatori della maturità al liceo Parini.

Si spengono le luci in sala. Nessun brusio. Applausi neanche a parlarne: pessimo segno. Finalmente si apre il sipario. Antonio Silva col suo smoking affittato è sul palco, davanti al microfono. È allora che vediamo nella penombra di una sala fin troppo grande una, dieci, mille teste. Parte un lungo applauso. Non c’è un posto vuoto. Ci tornano in mente tutte le parole di tutte le nostre canzoni, una sull’altra, ché c’è un bel da fare a separarle. Il cuore mi batte così forte che no riesco nemmeno a capire cosa sta dicendo Francesco, lo posso solo intuire: «Questo è proprio un gran colpo di Culo».

Cenni biografici autore

Il professore Roberto Vecchioni

Roberto Vecchioni nasce a Milano il 25 giugno 1943. Nel 1968 si laurea in “Lettere antiche” all’Università Cattolica di Milano dove resterà per due anni come assistente di “Storia delle religioni”. Per trent’anni è professore di greco e latino in diversi licei classici, prima di divenire docente universitario presso l’Università di Torino. Lì, tiene un corso in “Forme di poesia in musica”. Attualmente insegna “Contemporaneità dell’antico” all’Università IULM di MIlano.

 La sua attività nel mondo musicale inizia molto presto, negli anni ’60, quando scrivere canzoni per artisti affermati. Nel 1971 si propone come interprete delle sue canzoni e nel 1973 partecipa al Festival di Sanremo con “L’uomo che si gioca il cielo a dadi”. Il successo arriva nel 1977 con l’album “Samarcanda“. Nel 1983 vince il Premio Tenco, nel 1992 il Festivalbar, nel 2011 il Festival di Sanremo.

Roberto Vecchioni è anche autore di libri. Tra i più rappresentativi:

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